Quando la liretta era in perenne svalutazione e l'inflazione galoppante, un Bot annuale rendeva fino al 18%. Grosso modo, chi acquistava un Buono del Tesoro portava a casa un 5-6% netto. Nell'era della sindrome bipolare da economia reale asfittica e finanza ipertrofica, ai tempi delle banche centrali superstar, comprare lo stesso Bot equivale a rimetterci dei quattrini. Un suicidio per il portafoglio. Ieri, via Nazionale ha collocato 6,5 miliardi di euro di titoli a 12 mesi, piazzandoli senza alcuna fatica nonostante un rendimento lordo dello 0,079% che, al netto delle commissioni bancarie, si riduce fino a scivolare in territorio negativo: -0,078%. Una roba mai vista. Insomma: il Bot non è più cosa per risparmiatori, ma solo per investitori istituzionali con liquidità in eccesso, da parcheggiare in asset sicuri anche se non remunerati. Già nel dicembre scorso era comparso il segno meno accanto ai tassi sui trimestrali (-0,028%), ma si era trattato di un fenomeno circoscritto al mercato secondario, cioè quello dei titoli in circolazione. Assicuravano gli esperti: «In asta non succederà mai».
Invece, è successo. E con la Bce che ha cominciato a mulinare lo spadone del quantitative easing, era in fondo prevedibile. Il rastrellamento di bond sovrani (3,2 miliardi lunedì scorso, la prima tranche dei 60 miliardi mensili da qui fino ad almeno il settembre 2016) da parte della banca centrale guidata da Mario Draghi sta schiacciando sempre più in basso i tassi, con l'effetto di allungare quella che i tecnici chiamano la duration , ovvero la scadenza media del debito. Un autentico toccasana per un Paese fortemente indebitato come l'Italia, in cui proprio per l'elevata esposizione ben altri dovrebbero essere i rendimenti da corrispondere a chi acquista i nostri titoli. Invece, mentre l'euro testa nuovi minimi arretrando sotto quota 1,06 dollari (un'altra boccata di ossigeno per il made in Italy), il Btp a 30 anni non offre neppure un modestissimo 2% e quello decennale tocca il minimo storico a 1,15%, con lo spread Btp-Bund a 91 punti. L'appiattimento dei mercati valutari e obbligazionari si salda poi con l'euforia delle Borse: se Milano ha chiuso con uno strappo del 2,18%, con un balzo del 2,66% Francoforte ha stabilito il record storico. Anche i tedeschi, che tanto hanno arricciato il naso per le misure non convenzionali volute dal presidente della Bce, dovrebbero quindi dire danke . Ricordandosi peraltro, come ha fatto ieri notare un po' maliziosamente Draghi, che negli anni '70 anche la Bundesbank fece ricorso al quantitative easing.
Ciò che però più importa è la reazione dei mercati: «Dimostra che il piano di acquisti funziona», sottolinea l'ex governatore di Bankitalia, ed esercita anche una funzione di scudo contro il possibile effetto contagio indotto dalle tensioni del caso Grecia. «I tassi delle banche per i prestiti alle imprese hanno iniziato a diminuire nel terzo trimestre dello scorso anno - ha aggiunto - , le aspettative legate all'inflazione hanno reagito positivamente e assistiamo ad un calo dei rendimenti sovrani a lungo termine nonostante la nuova crisi in Grecia». Ciò dovrebbe ridare slancio alla crescita: alcuni segnali mostrano «ulteriori miglioramenti dell'attività economica all'inizio di questo anno» e la ripresa economica «dovrebbe gradualmente ampliarsi e rafforzarsi».
Naturalmente, nella visione di Draghi le mosse della Bce perdono di efficacia se non sorrette dall'azione dei governi. Infatti: una politica monetaria orientata alla stabilità dei prezzi e le riforme strutturali «sono misure che lavorano di pari passo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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