
Con i nuovi dazi al 25% su tutte le auto importate negli Stati Uniti, oltre che su una serie di componenti, Trump rischia di fare non pochi autogol. E non solo perché per i cittadini americani i prezzi di un suv compatto o di un'auto elettrica potrebbero presto schizzare alle stelle. Certo, l'annuncio di mercoledì sera ha mandato fuori strada i titoli del settore automotive sui mercati. Ma se si valutano le le diverse sponde dell'Atlantico si vede che la più colpita dalle vendite ieri è stata General Motors: a meno di un'ora dalla chiusura di Wall Street le azioni del colosso Usa perdevano il 7% dopo un minimo del 9,5%. Delle auto vendute da GM negli States solo il 52% è assemblato nel Paese. Secondo i dati di Wards Automotive e Barclays relativi al terzo trimestre del 2024, per Stellantis la quota è invece del 57% mentre per Volkswagen e Volvo è rispettivamente del 21% e del 13%. Bmw e Mercedes sono invece al 48 e al 43 per cento.
Il titolo GM ha così perso più di Porsche (-3,4%) e Mercedes Benz (-2,1%) per le quali l'impatto potenziale dei dazi potrebbe comunque toccare 3,4 miliardi. Nel Vecchio Continente a soffrire sono stati anzitutto i marchi tedeschi che rappresentano per valore e per numero di veicoli la fetta maggiore delle importazioni Usa di auto dall'Europa. Alla Borsa di Francoforte (-0,7%) hanno accusato il colpo anche Bmw (-2,5%) e Volkswagen (-1,7%), proprietaria dei marchi Audi e Lamborghini. Tra le auto di lusso Ferrari (+1,8%) ha invertito la rotta grazie alla conferma degli obiettivi finanziari di quest'anno: ai dazi di Trump risponderà alzando i prezzi del 10%. Stellantis ha invece ceduto il 4,2% malgrado abbia una rete produttiva consolidata negli Stati Uniti per Jeep e Chrysler. a sua volta la francese Renault (+0,5%) ha attraversato la giornata indenne dato che realizza le sue vendite principalmente in Europa. A salvarsi, in netto rialzo (+2,1%), è stata la Tesla di Elon Musk che comunque ieri si è lamentato su X («Per essere chiari, questo inciderà sul prezzo dei pezzi delle auto Tesla che provengono da altri Paesi. L'impatto sui costi non sarà banale»).
Alla reazione delle Borse si è aggiunta quella della politica europea. «Il punto non è se siamo sorpresi o no, il punto è se siamo pronti o no. E la risposta è e resta sì. Siamo preparati a salvaguardare i nostri interessi economici e se necessario daremo una risposta ferma, proporzionata, robusta, ben calibrata e tempestiva a qualsiasi misura ingiusta e controproducente da parte degli Stati Uniti», ha dichiarato un portavoce della Commissione Ue. Sottolineando che la priorità di Bruxelles «è trovare una soluzione negoziata» ma anche che la Ue prepara la lista finale dei prodotti su cui applicare contromisure. «Sarà ben selezionata per provocare il massimo impatto nei confronti degli Stati Uniti e ridurre al minimo l'impatto sull'economia europea», ha precisato il portavoce. Si aggiungono, però, le dichiarazioni dei singoli Stati. Il ministro dell'Economia e vicecancelliere tedesco, Robert Habeck, ha detto che il governo di Berlino ha chiesto all'Unione europea «una risposta ferma» perché «deve essere chiaro che non ci inchineremo agli Stati Uniti». Emmanuel Macron ha sottolineato il «paradosso nel vedere i principali alleati degli Stati Uniti essere i primi a essere tassati». Il governo britannico ha invece affermato di non voler intensificare le guerre commerciali e la Cancelliera dello Scacchiere, Rachel Reeves, ha escluso una risposta da parte di Londra all'iniziativa di Washington.
Nel frattempo, anche il settore del vino lancia l'allarme: «Gli importatori americani hanno bloccato l'import dei nostri vini temendo di dover farsi carico loro delle tariffe perché non c'è una norma che quantomeno adesso escluda dai dazi i prodotti che sono in transito», ha detto Paolo Castelletti, direttore generale Unione italiana Vini a pochi giorni dal Vinitaly.
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