Roma. Lei è lì, sullo scranno più alto di Montecitorio accanto a Roberto Fico che sta scrutinando le schede, per metterci la faccia. Faccia impietrita dal tradimento dei suoi, reso evidente dall'astensione di tutti gli altri. Anche Italia viva si allinea a Pd, M5S e Leu, tutti d'accordo per non votare.
«Casellati-Casellati-Casellati-Mattarella-Casellati-Berlusconi-Casellati-Casellati-Tajani...». I nomi scanditi dal Presidente della Camera e tra le mani di Maria Elisabetta scivolano, una a una, le schede della sconfitta. Perché, alla fine, il conto si ferma a 382 sì, mentre dovevano essere 450-457. Ce ne sono 8 per Berlusconi e 7 per Tajani, di azzurri che non l'hanno scelta. La pattuglia di franchi tiratori si allarga soprattutto nell'Udc e in Coraggio Italia. E la polemica nel centrodestra monta. «I nostri 208 voti sono stati compatti», dicono dalla Lega. Fanno i conti grazie al modo di distinguersi tra i partiti scrivendo diversamente il nome sulla scheda. Per loro, da Fdi e Nci sono arrivati 68 consensi, da Fi e Udc 94, invece di 139. Vittorio Sgarbi parla di 40-45 grandi elettori di Fi e 20 di Ci che non hanno rispettato l'indicazione, dei totiani «20 su 32 addirittura non hanno votato». E, se fosse vero che la seconda carica dello Stato ha avuto anche voti di ex 5S, i franchi tiratori salirebbero a un centinaio.
La presidente del Senato, chiusa nel suo elegante tailleur pantalone blu, sembra diventare una statua di sale mentre si delinea il quadro. Se fosse arrivata a 400 consensi sarebbe stata riproposta alla seconda votazione della giornata, nel pomeriggio. Ma è ben al di sotto, anche se ne servivano 505 per vincere. Eppure lei ha coraggio, ci crede ancora, si metterebbe di nuovo alla prova, sostenendo che tra gli astenuti ci sono voti che le erano stati promessi. Ma la coalizione decide di no, che ormai è «bruciata».
Fino al giorno prima è stata la stessa Casellati a insistere per misurarsi nelle urne, convinta di poter avere anche consensi extra, si è data da fare con contatti diretti e indiretti, telefonate e sms per assicurarsi l'appoggio nel suo partito, tra gli alleati e oltre. La mattina di ieri, dicono, qualche dubbio l'ha assalita. Poi è arrivato l'endorsement ufficiale di Silvio Berlusconi: «Da presidente del Senato, seconda carica dello Stato, diventerebbe prima carica dello Stato - scrive sui social il leader di Forza Italia -. La conosco da oltre 30 anni e posso garantire sulla sua assoluta adeguatezza a questo ruolo super partes. Mi rivolgo ai parlamentari di tutti gli schieramenti per chiedere loro di sostenere la Casellati». Matteo Salvini intanto diceva: «Una donna delle istituzioni al Quirinale, un onore proporla». E Giorgia Meloni: «Una candidatura meno politicizzata e più istituzionale. I veti sarebbero incomprensibili».
Invece, è andata com'è andata. E lei è amareggiata, delusa soprattutto dal tradimento degli «amici». La Meloni fa fuoco e fiamme, chiede conto a Fi e ai centristi di quel buco di voti. La sinistra fa polemica anche sul fatto che lei sia presente in aula mentre la votano e allo scrutinio. «Non ci dovrebbe essere bisogno di ricordare Scalfaro nel 1992. Il galateo istituzionale non è un optional», dice Stefano Ceccanti del Pd. All'inizio del quarto scrutinio la presidente non arriva e si pensa che rinunci, invece poi si siede serafica accanto a Fico e segue tutto lo spoglio.
Regge il flop con dignità, ma si vede che è provata. Infierisce l'ex 5S Alessandro Di Battista, su Fb: «La Casellati dovrebbe dimettersi in quanto non più meritevole di rappresentare la seconda carica dello Stato». Lei non ci pensa proprio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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