Un colpo di reni tanto deciso, quanto inaspettato. Il cannone tuona ancora nelle strade ucraine, ma dopo lo sprofondo rosso di giovedì i mercati finanziari hanno silenziato ieri il mood più pessimista. Lo scatto è avvenuto nel pomeriggio, al rimbalzare delle notizie secondo cui Vladimir Putin pare disposto a inviare una delegazione a Minsk per riannodare i fili dei negoziati con Kiev. La fiacca reazione delle prime ore di scambi, quando ancora in pochi si azzardavano a comprare, è stata sostituita da una corrente di acquisti che ha coinvolto tutte le Borse, permettendo a Milano di recuperare il 3,6 per cento e all'Europa il 3,2 per cento anche grazie alla spinta arrivata da Wall Street, subito in rally di 500 punti e in ascesa del 2 per cento a un'ora dalla chiusura. Buone notizie sono arrivate dal fronte energetico, dove il gas è sceso sotto i 100 euro al megawattora, con un ribasso che ha sfiorato il 30 per cento, e il petrolio ha perso il 2 per cento circa allontanandosi dai 100 dollari il barile. Il cambio di passo rispetto all'altro ieri è insomma stato netto. Agli investitori non è peraltro sfuggito che l'apertura al dialogo di Mosca è stata resa possibile dalla moral suasion di Xi Jinping, che nel corso di una telefonata col presidente russo ha detto di sostenere una risoluzione della crisi ucraina «attraverso i colloqui». Rispetto all'opaca reazione dei giorni scorsi, quando Pechino aveva accuratamente evitato di definire un'aggressione l'invasione dell'Ucraina, il Dragone recita ora una parte meno bellicosa nonostante gli osservatori tengano l'occhio vigile su Taiwan. C'è inoltre un secondo elemento che ieri ha dato una mano ai mercati nella risalita: le sanzioni appaiono meno severe del temuto e, soprattutto, sembrano escludere la possibilità di un'espulsione del Cremlino dal sistema Swift che regola le transazioni finanziarie. Infine, il terzo fattore: le forti probabilità, in un momento di così grande incertezza che rischia di impattare sulla ripresa, che le banche centrali mettano da parte i propositi di stringere le maglie della politica monetaria. Il problema di fondo resta però l'inflazione, ulteriormente surriscaldata dalle quotazioni delle materie prime.
Se la situazione sul fronte ucraino dovesse migliorare, la Federal Reserve potrebbe essere tentata di dare un forte giro di vite ai tassi in marzo. Anche perché i prezzi per tutti i consumi personali interni (il cosiddetto Pce deflator) sono cresciuti in gennaio del 6,1 per cento , ai massimi da 40 anni.
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