Should I stay or should I go? («Dovrei restare o dovrei andarmene?»). Filippo Taddei, ex responsabile Economia del Pd di Matteo Renzi e «papà» del Jobs Act, oggi direttore esecutivo e capoeconomista per l'Europa Meridionale di Goldman Sachs, ha scelto di parafrasare il successo dei Clash per sintetizzare in un report il dilemma politico di Mario Draghi. L'elezione del premier a presidente della Repubblica, si legge nel testo, «rafforzerebbe l'ancoraggio dell'Italia e della sua politica all'Europa» ma allo stesso tempo «scatenerebbe incertezza circa il nuovo governo e l'efficacia della sua politica» con il rischio di impatti negativi sull'utilizzo delle risorse e l'implementazione delle riforme legate al Recovery Fund.
La presa di posizione dell'importante corporate bank statunitense ha una doppia valenza. Da un lato, com'è ovvio, gli investitori internazionali si sentono più rassicurati dalla presenza al governo di un autorevole esponente dell'establishment che ha guidato sia la Banca centrale europea che la Banca d'Italia. Dall'altro lato, è un segnale di sfiducia nella tenuta istituzionale del nostro Paese dinanzi a sfide importanti come quelle poste da Next Generation Eu ancorché al Quirinale dovesse insediarsi Mario Draghi che di Goldman Sachs è stato vicepresidente e managing director dal 2002 al 2005 prima di essere nominato dal governo Berlusconi a capo di Via Nazionale.
E non si tratterebbe di un unicum: tra i «papabili» per la Presidenza della Repubblica sono annoverati alcuni politici che, in fasi diverse del loro cursus honorum, hanno prestato servizio per importanti banche internazionali. Romano Prodi, che al Quirinale spera sempre di giungere (prima o poi), è stato anch'egli advisor di Goldman Sachs prima della sua discesa in politica e in una successiva fase. Lo stesso Mario Monti, che al ruolo di capo dello Stato ha sempre ambito, è stato international advisor di Goldman dal 2004 al 2011. Giuliano Amato, ex premier e oggi componente della Consulta nonché réserve de la République, è stato advisor di Deutsche Bank e presidente dell'advisory board di Unicredit per l'Italia (ruolo nel quale gli è succeduto nel 2014 proprio Romano Prodi). L'esperienza attiva nel campo della finanza (ove si possono mettere in campo le relazioni costruite nella vita pubblica) è un vantaggio competitivo per molti civil servant anche se finora l'unico banchiere ad approdare al Quirinale è stato il liberale Luigi Einaudi nel 1948.
Ma quali sono i motivi per i quali Filippo Taddei di Goldman Sachs ha messo in discussione l'eventuale passaggio tra palazzi di Mario Draghi? «Alla luce degli interessi divergenti tra i partiti in Parlamento e dei tempi lunghi che tipicamente servono per formare un nuovo governo, siamo preoccupati che questo scenario possa comportare un ritardo nell'implementazione del Recovery Fund e delle riforme correlate», scrive l'economista. Le dimissioni di Draghi potrebbero ridurre l'utilizzo dei 39 miliardi di finanziamenti a fondo perduto attesi dall'Europa tra il 50 e il 75%», si legge nel report.
Un tale scenario potrebbe ridurre l'impatto fiscale sul Pil dello 0,1% nel 2022 e dello 0,35% nel 2023. Tale ricaduta negativa potrebbe aumentare in caso di elezioni anticipate (-0,15% nel 2022 e -0,55% l'anno prossimo). Insomma, Draghi deve rimanere dov'è.
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