Governo bocciato dalle urne comunali

Come si può sostenere che le valutazioni su chi governa non contino nelle elezioni locali?

Governo bocciato dalle urne comunali

Undici milioni di italiani hanno rinunciato alle cure sanitarie nel 2016 contro 9 nel 2012. Due milioni in più, in particolare fra i più anziani e i più giovani, da quando Renzi è al governo rinunciano alle cure sanitarie. È un sintomo del malessere della nostra società. Il premier Renzi dovrebbe tenerne conto quando ammette la delusione per il risultato delle elezioni. In effetti, tutto era pronto per favorire i suoi candidati. Si è votato solo di domenica, c'era un «ponte» con lo sciopero dei sindacati delle autostrade. Così l'affluenza è stata bassa, specie nelle grandi città. Il Pd è favorito dalla bassa affluenza, ma i sindaci uscenti Pd di Torino e Bologna non sono passati al primo turno. Il candidato Pd di Milano Giuseppe Sala, il «santo» dell'Expo, è rimasto a una frazione di punto da Stefano Parisi, centrodestra. A Napoli il Pd è sparito dal ballottaggio, a Trieste il sindaco Pd è secondo dopo lo sfidante di Forza Italia.

Il premier e gli altri leader della maggioranza, però, sostengono che le elezioni locali non sono un test per le nazionali e per il referendum sulla riforma costituzionale. Gli esperti, però, sostengono che nei grandi Comuni prevalga il voto politico e in quelli minori quello sugli interessi locali. Facile dimostrare che questa volta gli esperti hanno ragione, per il motivo messo in luce dal sindaco uscente di Torino Fassino, appunto quello del profondo disagio sociale. Ciò implica anche se Renzi e il Pd non vogliono accorgersene - che gli elettori dei grandi centri non sono soddisfatti della politica del governo. Il disagio emerge perché non ha funzionato la politica economica nazionale, basata su bonus, finanziati con deficit e debiti, per creare occupazione ed domanda di consumo. Una politica che non si fonda sulla logica del mercato, sulla produttività, sull'investimento, sulla libertà di contratto, nel lavoro e per l'impresa.

Gli elettori in genere non sono economisti e sociologi, però vedono i risultati. Gli annunci che l'Italia ha «svoltato» ora non sono creduti. L'Istat certifica che la crescita moderata rallenterà nel breve termine. Aumenta la spesa delle famiglie, che spinge la domanda, in base alla politica del governo sopra descritta, ma si riduce la fiducia. Dal canto suo, la Banca di Italia rivede al ribasso la crescita del Pil ma non dell'occupazione, che aumenta non per uno sviluppo della produttività ma con artifici. Non c'è alcun circolo virtuoso.

Le politiche delle nostre grandi città dipendono da riforme nazionali e locali, come le privatizzazioni delle aziende locali, la deregolazione urbanistica, le reti di trasporto locale, le politiche per l'acqua e i rifiuti. Come si può sostenere che le valutazioni su chi governa non contino nelle elezioni locali? Se cala la fiducia delle famiglie nell'economia, scema anche quella nel governo (oltre che negli amministratori locali dei partiti di governo) e nelle sue riforme, compresa quella costituzionale.

Se è negativo il giudizio su quel che ha fatto il governo, che vince sempre in parlamento grazie al premio di maggioranza elettorale e al trasformismo politico, non può essere positivo quello su una riforma che gli dà ancor più potere. Certo, gran parte dell'elettorato non è bene informata, vota «sulla fiducia». Come credere che la riforma costituzionale sia una «buona svolta» se la fiducia nel governo e nel Pd è in calo.

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