Il governo dice addio ai voucher, ma prova a farlo passare per un arrivederci, assicurando che presto arriveranno i mini jobs come quelli in vigore in Germania. Ieri il consiglio dei ministri ha varato un decreto legge ad hoc che recepisce quello che era stato deciso martedì dai parlamentari del Pd, cioè la soppressione dei tre articoli, 48, 49 e 50, del Jobs Act del 2015.
L'abolizione dei buoni lavoro da 10 euro che consentono di pagare le prestazioni occasionali con una cifra che comprende anche l'assicurazione, gli oneri fiscali e quelli previdenziali sarà operativa dal primo gennaio 2018, per consentire ai datori che li hanno già acquistati di utilizzarli tutti.
Se ci sono aziende con scorte eccessive, rischiano di ritrovarsi con carta straccia se nel giro di nove mesi non avranno esaurito tutti i buoni. Nel provvedimento c'è anche la modifica alle norme sugli appalti che prevede il ritorno del principio di solidarietà tra committente e appaltatore.
Le motivazioni sono solo politiche, quindi, come ha di fatto ammesso il premier Paolo Gentiloni. «Lo abbiamo fatto - ha spiegato - nella consapevolezza che l'Italia non aveva bisogno di una campagna elettorale su temi come questi. E nella consapevolezza che questa decisione è coerente con l'orientamento che è maturato in Parlamento».
Gentiloni ha assicurato che l'abolizione dei voucher «non ridimensiona ma conferma il nostro impegno per regolare in modo moderno e avanzato il mercato del lavoro. Lo faremo individuando uno strumento all'altezza che possa dare una risposta a questa esigenza».
Da Palazzo Chigi sono arrivate rassicurazioni alle associazioni di categoria sul fatto che i buoni saranno sostituiti dai mini jobs alla tedesca. Una forma di lavoro più flessibile di quello che resta dei nostri contratti atipici e che in Germania riguardano più di 4 milioni di lavoratori.
Tra le ipotesi circolate ieri, un ritorno dei voucher per i lavori domestici e in generale per quelli con un datore privato. Poi, per le aziende, una soluzione in stile mini jobs. Più flessibile del lavoro a chiamata, nel senso che l'attivazione sarà più facile, ma con un metodo di pagamento tradizionale.
Difficile che il governo riesca a imporre soluzioni di questo genere, visto che la sola prospettiva di un referendum ha fatto vincere i sindacati, che molto probabilmente non avrebbero incassato il risultato atteso nelle urne.
Per il momento, di sicuro, c'è l'abolizione dei voucher. E, come minimo, un interregno in cui non ci sarà modo di pagare il lavoro occasionale in modo flessibile e veloce.
Rinunciando ai voucher il governo ha sottratto al mercato del lavoro uno strumento che pesa poco in termini percentuali (lo 0,40% delle ore lavorate), ma di fatto distribuisce ogni anno una cifra che supera il miliardo di euro. Nel 2016 l'importo lordo è stato di poco superiore al miliardo e 150 milioni di euro. Questo significa che lo Stato, tra contributi e imposte ha rinunciato a 287,5 milioni di euro di entrate e i lavoratori a 862 milioni di euro.
Questi ultimi potrebbero rientrare come compensi in nero, se il governo non troverà uno strumento alternativo.
Ieri si sono moltiplicate le proteste dal mondo dell'economia.
Da Confindustria a Confcommercio, fino a Confprofessioni, i datori di lavoro parlano di una sconfitta per il governo o di un cedimento al ricatto della Cgil. La leader del sindacato Susanna Camusso ha parlato di un «grande risultato». Solo «un'altra tappa del congresso Pd», secondo il capogruppo dei deputati di Forza Italia Renato Brunetta.
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