«Credo che la democrazia si fondi sul confronto e non sui plotoni di esecuzione. Qui ho visto un plotone di esecuzione nei confronti di Giorgia Meloni e del centrodestra. Ho lasciato la politica perché mi sentivo al di sopra di questo modo becero di farla. Mi sento inadatto a fare la foglia di fico. Per questo faccio l'unica cosa che può fare una persona quando si sente inadatta: la saluto, mi scuso e me ne vado». Con questo j'accuse Guido Crosetto, fondatore di Fdi giovedì ha abbandonato gli studi di Piazza Pulit a La7.
Come è maturata la sua decisione?
«Ho ascoltato per mezz'ora il monologo di Corrado Formigli e del direttore Cancellato sulla risposta data da Giorgia Meloni all'inchiesta di Fanpage. A quel punto è stata data la parola a Lilli Gruber che indossava le vesti di arbitro del bene e del male, per arrivare poi alle conclusioni di Prodi. Nel mirino c'era un unico obiettivo: Giorgia Meloni, tirata in ballo per fatti in cui evidentemente non c'entra nulla. Mentre aspettavo non potevo fare a meno di pensare che mi trovavo di fronte a una impostazione inaccettabile per chiunque, per Conte, Letta o Renzi. La trasmissione non stava facendo informazione corretta ed imparziale ma stava semplicemente costruendo un teorema».
Quale sarebbe stata l'impostazione giusta?
«Io credo che il conduttore debba fare l'arbitro tra due interlocutori, non diventare parte in causa».
Non sarebbe stato più giusto controbattere a quelle tesi?
«Dopo un'ora, in 3 minuti? Non ho nulla contro Corrado Formigli, sono stato suo ospite e certo non perdo il rispetto per lui. Ma ritengo si possa portare civiltà anche in un dibattito politico. Giorgia Meloni fino a pochi mesi fa veniva descritta come la faccia buona del sovranismo, ora visti i sondaggi è diventata una Mussolini in gonnella o un Hitler in sedicesimo. Con queste iperboli la si espone al rischio che qualche pazzo possa sceglierla come obiettivo, lei che, in un Paese in cui hanno scorte e tutele anche quelli che si spediscono da soli un proiettile, non ha mai voluto la scorta».
Lei fa politica da molti anni, sa bene che l'evocazione del fascismo è uno spartito consueto da circa 28 anni.
«Ho visto anch'io il titolo di un giornale del 1993 su Berlusconi fascista. Sì, la riesumazione del pericolo nero è un classico pre-elettorale, ma francamente applicarlo a una donna di 44 anni che da anni ha un atteggiamento molto fermo verso qualunque forma di nostalgismo è un po' deprimente. Conosciamo bene queste artiglierie sperimentate per distruggere, ma non è detto che sia scontato abituarcisi e fare finta che sia tutto normale. Gli avversari di Giorgia Meloni dovrebbero cercare di combatterla sui contenuti, non cercando di delegittimare lei».
C'è un elemento di autocritica che si sente di fare rispetto alle prese di posizione di Fratelli d'Italia di queste settimane?
«I movimenti di destra esistono così come i loro tentativi di usare Fdi come veicolo. L'attenzione è alta, a volte si può fare meglio, a volte peggio, ma pensare che i leader di partito possano avere responsabilità per episodi o atteggiamenti che avvengono in periferia è lunare. Qualche giorno fa è stato eletto un consigliere circoscrizionale della lista Manfredi a Napoli che sul suo profilo Facebook ha riferimenti al Ventennio. Nessuno, giustamente, ne ha chiesto conto a Manfredi o a Letta.
Se fosse stato di Fdi avrebbero avuto lo stesso atteggiamento con la Meloni? Questa comunicazione è il modo per tenere ferma la democrazia. La sinistra preferisce vincere spaventando il proprio elettorato piuttosto che confrontarsi sulle idee».
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