I cinque anni fallimentari del Pd

Dal mancato governo di Pier Luigi Bersani al fallimento delle politiche di Matteo Renzi. Cinque anni in cui il Pd ha sbagliato tutto e, ora, rischia il tracollo alle urne

I cinque anni fallimentari del Pd

Una legislatura, due presidenti della Repubblica e tre premier. Sono questi i numeri dell’ultimo quinquennio parlamentare che si avvia alla conclusione. Il grande sconfitto è il Pd che nel 2013 avrebbe dovuto stravincere le Politiche e, invece, si è talmente diviso da lasciar presagire un flop senza precedenti alla prossime elezioni. Pier Luigi Bersani, Enrico Letta e, soprattutto, Matteo Renzi sono i tre volti di questo fallimento annunciato.

Il fallimento di Pier Luigi Bersani

L’esperienza politica di Bersani come candidato premier del centrosinistra tramonta non appena vengono resi noti i risultati elettorali. “Non abbiamo vinto anche se siamo arrivati primi”, ammette con l’amarezza l’allora segretario del Pd. A nulla valgono le dirette streaming con i grillini nel tentativo di formare un governo sostenuto dal Movimento Cinquestelle. L’accordo col centrodestra per eleggere Franco Marini presidente della Repubblica non regge a causa delle divisioni interne dentro il Pd e il successivo affossamento della candidatura di Romano Prodi per mano di 101 franchi tiratori determinano l’uscita di scena di Bersani.

Il governo di Enrico Letta

Nell’aprile del 2013 nasce, quindi, il governo di grande coalizione, sostenuto da Forza Italia, con Enrico Letta premier che cancella l’Imu ma ben presto arrivano le prime difficoltà. Prima il caso Shalabayeva che coinvolge il ministro Angelino Alfano, poi il caso Ligresti che tocca il ministro Anna Maria Cancellieri, fanno calare il consenso di un governo già fragile. La decadenza di Berlusconi da senatore porta alla rottura con Angelino Alfano che, pur di mantenere la poltrona da ministro dell’Interno, rompe con Forza Italia fino a diventare il principale alleato del Pd. La sua cattiva gestione dell’emergenza immigrazione e il fallimento della missione Mare Nostrum peggiorano le cose. L’ascesa di Matteo Renzi e lo stallo nel percorso delle riforme, chieste a gran voce dal presidente Napolitano il giorno del suo secondo insediamento, mettono in ulteriore crisi il governo Letta, artefice anche dell’ultimo aumento dell’Iva. L’hastag #enricostaisereno, pronunciato da Renzi nello studio di Fabio Fazio, pone fine alla carriera politica del ‘giovane’ Letta.

Ascesa e declino di Matteo Renzi

Il 24 febbraio 2014 iniziano i mille giorni del ‘rottamatore’ Renzi che annuncia subito di voler varare una riforma al mese. Il baldanzoso premier, però, si scontra fin dall’inizio con l’opposizione interna della sinistra dem guidata da Pier Luigi Bersani e Gianni Cuperlo che mal digeriscono l’Italicum e il ‘Patto del Nazareno’ che naufragherà nei giorni dell’elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica. Altro motivo di scontro è il "Jobs Act" ma gli ’80 euro’ e la vittoria alle Europee del 2014, con il 40,81% ottenuto dal Pd, mettono temporaneamente a tacere i dissidi interni. Il tanto strombazzato taglio alle auto blu, però, non ha sortito gli effetti sperati ed è rimasto nel dimenticatoio. La ‘Buona scuola’ ha fatto perdere consensi al Pd tra gli insegnanti e, a farne le spese, con la nascita del governo Gentiloni, è stata il ministro Stefania Giannini, ex segretario dell’ormai disciolta ‘Scelta Civica’. La legge sulle unioni civili, varata nel maggio 2016, scontenta il movimento Lgbt perché priva della stepchild adoption e ha portato i cattolici nuovamente in piazza a protestare contro il governo Renzi. La ‘riforma Madia’ sulla Pubblica amministrazione è stata dichiarata parzialmente incostituzionale così come l’Italicum. Il Jobs Act ha subìto una revisione, con l’abolizione formale dei voucher, e, una volta finiti gli incentivi fiscali, ha perso di efficacia. Come se non bastasse molte famiglie del Centro-Italia, colpite dai terremoto del 24 agosto 2016 e dalle successive scosse, non hanno ancora ricevuto le tanto attese ‘casette’ e passeranno il Natale al freddo.

Il Pd vicino al flop elettorale alle prossime Politiche

La rovina politica di Matteo Renzi ha, però, un nome ben preciso: Maria Elena Boschi, autrice della riforma costituzionale bocciata con il referendum del 4 dicembre 2016 dal 70% dei votanti. Il governo cade e l’elettore comune, che si aspettava il ritiro dalla vita politica sia di Renzi sia della Boschi, si ritrova davanti a un’amara sorpresa da parte di entrambi. Il primo nel giro di pochi mesi si riprende il partito nel giro di pochi mesi, mentre la seconda diventa sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel nuovo governo di Paolo Gentiloni. La commissione d’inchiesta sulle banche, presieduta da Pier Ferdinando Casini, e la denuncia presentata dalla Boschi contro l’ex direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, riaprono le polemica sulla vicenda Banca Etruria, esplosa nel 2015. All’epoca la Camera aveva respinto la mozione di sfiducia contro la Boschi ma, ora, i nuovi particolari emersi, nonostante le difese d’ufficio di Gentiloni e di Renzi, preoccupano sempre di più l’entourage renziano in vista delle Politiche di marzo.

Infine, se da un lato la legislatura si è chiusa con l’approvazione della legge sul biotestamento, dall’altro l’affossamento dello ius soli per il mancato raggiungimento del numero legale hanno provocato un’ulteriore frattura tra il Pd e il suo elettorato. Una beffa per il popolo di sinistra, uno scampato pericolo per l’Italia.

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