Il mondo crypto è in una cripta. Protetto, nascosto, quasi la politica si vergognasse di occuparsene. Eppure almeno un italiano su 10 ne è attratto, vorrebbe investirci o l'ha già fatto, con esiti altalenanti. Ecco perché bisognerebbe parlarne più spesso: servirebbe un'ora di Educazione finanziaria nelle scuole, come ha già in progetto di fare l'Osservatorio Italia sull'Antiriciclaggio che ieri ha lanciato un webinar per un «utilizzo consapevole delle cryptocurrencies».
«Ad oggi non esiste una legge che delinei con chiarezza il trattamento fiscale delle cripto. L'unica indicazione su come pagare le tasse per chi detiene Bitcoin è stata finora la nota risoluzione dell'Agenzia delle Entrate del 2016 che equipara le criptovalute alle valute estere (in controtendenza con la Banca d'Italia che non le considera tali). Ma una risoluzione del Fisco non è legge e questo buco normativo crea confusione», dice Andrea Medri, fondatore della più longeva piattaforma al mondo di trading di criptovalute, The Rock Trading. Se ci fosse una legge chiara sulla fiscalità e fosse attrattiva, i Bitcoin e le altre criptomonete porterebbero ulteriore liquidità nelle casse dello Stato. Medri propone una «tassazione forfettaria» sul patrimonio detenuto in bitcoin alla fine dell'ultimo anno fiscale, cioè al 2021. Da gennaio 2023 la tassazione potrebbe essere allineata al 26% sul capital gain. Nella scorsa legislatura i Cinque stelle con Elena Botto e Davide Zanichelli ha presentato due proposte simili per «superare la mera equiparazione delle criptovalute alle valute tradizionali», rimaste finora nel cassetto. Anche la Lega nel programma parla di criptoasset, ma in tema non è ancora in agenda.
E non è neanche l'unico buco nero. Ad oggi al Fondo unico di Giustizia manca un wallet digitale dove far confluire le criptovalute sequestrate perché c'è il sospetto di una origine fraudolenta. In alcuni casi le criptovalute sono state «assegnate» temporaneamente a un gestore, in altri casi sono state convertite in denaro.
Con un problema non da poco, vista la loro volatilità: se il sequestro fosse illegittimo il titolare dei cryptoasset potrebbe chiamare ai danni lo Stato che le ha incautamente vendute, se il valore di mercato al momento della restituzione fosse più alto del prezzo a cui sono state cedute. Se invece lo Stato avesse avuto ragione, oltre al danno ci sarebbe la beffa.
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