"Nel M5S c’è anche una sorta di infantilismo. I grillini sono come il bambino che si trova nella stanza dei giocattoli e rimane come inebriato da tutto quello che si trova intorno". A dirlo è Alessandro Campi, docente di Scienza Politica all'Università di Perugia, che, nel corso di un'intervista rilasciata a ilGiornale.it, analizza l'evoluzione dei pentastellati che ora girano persino in "auto blu".
Il M5S ha cambiato definivamente pelle e la retorica dell'anti-casta sta svanendo?
"Movimenti rivoluzionari o pseudo-tali che, poi, si sono comodamente accasati al potere con tutti i privilegi piccoli e grandi che quest’ultimo garantisce, è piena la storia. È la storia che si ripete. Da questo punto di vista i grillini sono arrivati per ultimi. Si parte con grandi propositi e, poi, si diventa quel che poi in fondo si deve essere perché nel momento in cui assumi responsabilità di governo ci sono anche degli obblighi formali che bisogna assolvere. Solo chi sta fuori dal mondo può pensare che l’auto blu sia uno status simbol del quale si possa fare a meno. È ridicolo pensare che un presidente della Camera possa andare a lavoro in autobus per ragioni sia di tempo sia di sicurezza. I grillini, evidentemente, avevano un’immagine del potere da fumetto".
Ci spiegi meglio...
"Una volta al governo hanno capito che si possono usare le auto blu senza che questo suoni un insulto al popolo. Si sono trovati come dentro in una favola e qualcuno di loro ci ha preso gusto a governare anche perché molti di loro erano persone eccentriche che non avevano un grande predigree professionale. Il problema adesso sarà farli tornare indietro, per loro sarà drammatico tornare alla vita civile anche perché una vita civile non ce l'avevano. Molti di loro erano disoccupati, nullafacenti o laureati in cerca di occupazione quindi si capisce anche perché siano così abbarbicati al potere".
Gli Stati Generali potrebbero cambiare la situazione? Un personaggio come Di Battista potrebbe riportare il M5S alle origini?
"La sindrome di ‘tornare alle origini’ è tipica dei movimenti rivoluzionari, come il fascismo o il bolscevismo, che a un certo punto scoprono di essersi imborghesiti, di aver messo su la pancetta e cominciano a predicare la retorica del ritorno alla purezza delle origini. Ma, nel caso del M5S, cosa vuol dire tornare alla purezza delle origini? Mandare tutti a casa o in galera? È solo una formula retorica che stanno usando perché si sono accorti che c’è qualcosa che non funziona in questo partito, a partire dalla guida collegiale che non funziona mai soprattutto quando ci sono tante teste che pretendono di voler comandare. Non so se la soluzione possa essere Alessandro Di Battista, ma sicuramente loro devono uscire da questa situazione abnorme in cui c’è un capo spirituale, un capo informale, un capo politico, un pretendente capo. Per quanto continuino a considerarsi un non-partito o un anti-partito dovranno gioco forza passare alla fase di un confronto interno duro in cui c’è chi vince, chi perde e, infine, anche ci comanda altrimenti il M5S non uscirà dalla crisi".
Quali sono le cause di questa crisi?
"I pentastellati scontano l’anomalia assoluta di essere un movimento i cui i loro capi politici, Davide Casaleggio e Beppe Grillo, sono fuori dalle istituzioni. È chiaro che Luigi Di Maio e tutti quelli che stanno nelle istituzioni e hanno assunto una loro autonomia non ci stanno più ad essere comandati dall’esterno. Potevano farlo cinque anni fa quando erano dei 'signor nessuno', ma oggi sono ministri, sottosegretari e presidenti della Camera e non vogliono più vivere della luce riflessa di Grillo e tantomeno prendere ordini nemmeno da Casaleggio, ma dal figlio di Casaleggio. È una situazione che crea inevitabilmente dei malumori. Ora stanno venendo al pettino dei nodi strutturali di questo movimento ed è ovvio che ci dovranno essere dei passaggi dirimenti. Gli Stati Generali probabilmente sarà uno di questi passaggi, ma forse non l’unico. Mi aspetto una fase di conflitti interni molto più acuti di quelli che abbiamo visto".
È la fine del mito dell'uno vale uno?
"Uno vale uno è stato uno slogan azzeccato che non vuol dire niente. L’uno vale uno non vale nella vita privata, figuriamoci in politica. Loro sono la smentita vivente di questo perché nel Movimento Cinque Stelle da sempre ci sono state due o tre figure che hanno contato più di altre. Fin dall’origine 'l’uno vale uno' è stato uno slogan falso, uno specchietto per le allodole. Grillo ha comandato e dettato la linea per tutti in una posizione di assoluta verticalità gerarchica, com’è giusto che sia in politica. La politica vive di verticalità e di gerarchie. Questa pretesa di eguaglianza assoluta tra elettori, dirigenti e militanti e dell’assoluta trasparenza con gli streaming sono dei falsi miti e delle false aspettative. Hanno alimentato delle spaventose gigantesche illusioni di cui sono rimasti vittime per primi, Si è visto quel che è successo.
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