«Andrea Bonafede. Data di nascita: 23/10/1963. Statura: 1,77. Fumatore: sì fino a 15 anni fa». É la cartella clinica del dipartimento oncologico di III livello dell'ospedale Maddalena di Palermo il penultimo tassello della caccia a Matteo Messina Denaro. A quel «penultimo miglio», come lo chiamano ieri gli inquirenti, i carabinieri del Ros arrivano incrociando due strumenti. Da una parte un codice alfanumerico, le tecniche ultramoderne di incrocio dei database. Dall'altro l'ascolto metodico, paziente, di ogni intercettazione, anche la più apparentemente innocua. É in questa tenaglia che si frantuma la latitanza trentennale dell'ultimo padrino. Ma questa tenaglia non sarebbe scattata se intorno al boss non fosse stata fatta metodicamente terra bruciata per anni, arrestando chiunque potesse muoverglisi attorno, asciugando il mare in cui ha nuotato per anni indisturbato. Tagliando le entrate a furia di sequestri. E riducendo il numero dei fedelissimi insospettabili, quelli in grado di aiutarlo senza diventare il gancio di traino per le indagini. Come Giovanni Luppino, il coltivatore che gli faceva da autista nel su e giù tra il covo nel Trapanese e l'ospedale palermitano. É l'uomo sovrappeso, che due carabinieri trascinano via dall'ospedale sotto la pioggia, subito dopo la cattura di Messina Denaro.
«Iddu è malato». Di frasi come questa, nelle conversazioni degli ultimi anni ne era stata intercettata più di una. Una pista, ma troppo vaga per essere davvero sfruttata. Poi, più recentemente, il passo in avanti decisivo. Sempre da una intercettazione, si riesce a circoscrivere la patologia di cui soffre il fuggiasco: tumore al colon. Un guaio da cui si guarisce, ma che necessita di cure sollecite. Da lì parte l'intuizione chiave: frugare nei cervelloni del Sistema sanitario nazionale alla ricerca di pazienti sospetti passati per gli ospedali pubblici e le cliniche private. Maschi, intorno ai sessant'anni. Migliaia di nomi. Parte la caccia alle anomalie, alle incongruenze. Indirizzi che non coincidono, giorni di visita incongruenti. All'inizio di dicembre, la rosa ormai è ristretta a una manciata di nomi. L'unico che corrisponde a tutti i criteri è quell'Andrea Bonafede che da due anni, periodicamente, fa visita al day hospital della Maddalena, dove nel gennaio 2021 gli scoprono una metastasi al fegato. Iniziano i quattro cicli di chemio. «Si faceva chiamare Andrea, era elegante e gentile, portava in regalo le taniche del suo olio», raccontano ieri pazienti e medici. A maggio 2021 resezione del fegato, per eliminare parte delle metastasi. «Mettetemi a posto che devo tornare in palestra», scherza Andrea".
Ma quando i carabinieri vanno a Campobello di Mazara a vedere che faccia ha questo Andrea Bonafede scoprono che il geometra, nipote di un vecchio mafioso, sta meglio di loro. E allora chi è che va farsi curare a Palermo a nome suo?
Da quel momento la strada è tutta in discesa. La difficoltà maggiore sta nel tenere i vertici della clinica all'oscuro di tutto, perchè siamo a Palermo, e la soffiata giusta è sempre in agguato. Ma i sistemi informatici della Maddalena sono sotto intercettazione, ogni volta che il nome Bonafede viene digitato, in una caserma dei Ros una luce si accende. Quando viene fissata la visita per la giornata di ieri, la vera sfida è organizzare un bliz che resti invisibile fino all'ultimo istante, un apparato di cento uomini pronto a smaterializzarsi se non parte il «via». Altrimenti la pista è bruciata, come altre volte.
Lui, il boss, non ha mai pensato di consegnarsi. Voleva vivere da uomo libero i suoi ultimi anni, ma per vivere doveva curarsi: e questo alla fine gli è stato fatale.
Ieri rispunta una intervista a un pentito, Salvatore Baiardo, che in novembre aveva detto a Non è l'Arena: «Chissà che al nuovo governo non arrivi un regalino, che Messina Denaro sia malato e faccia una trattativa lui stesso di consegnarsi». Risponde secco il procuratore aggiunto Paolo Guido: «Coincidenza, è stata una indagine pura». E tutto sembra dire che è proprio così.
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