"I sapori accessibili a tutti. Così porto l'Italia nel mondo"

Lo chef stellato del D'O di Cornaredo apre a Singapore e a Manila restando fedele alla sua idea di "facilità"

"I sapori accessibili a tutti. Così porto l'Italia nel mondo"

Quando gli chiediamo se i suoi ristoranti di Manila e Singapore a marchio Foo'd siano di cucina italiana all'estero ci rendiamo presto conto di aver fatto una mezza gaffe. Davide Oldani un po' si innervosisce. «Ma no - ci dice - non la definirei cucina italiana. Non voglio chiamarla così perché non posso. Io amo adattarmi ai prodotti locali, ce ne sono di buonissimi in particolari nelle Filippine, dove c'è carne e pesce di eccellente qualità e pure bio. Foo'd è un mondo. Dal cuore italiano».

Davide Oldani ha 39 di febbre e si tiene in piedi con delle punture. Davide Oldani ha un caschetto di capelli castani e una linea invidiabile che lo rendono tra gli chef più richiesti dalle foodblogger per loro selfie (che dio ci salvi). Davide Oldani ha da qualche mese aperto la nuova sede del D'O a San Pietro all'Olmo, frazione di Cornaredo, e finalmente lavora su un set consono al suo smisurato talento, e naturalmente come sua abitudine ha curato ogni minimo particolare, dalle sedute ai tavoli in legno caldo con ripiano a scomparsa per il telefono, dalla forchetta-cucchiaio di sua invenzione allo spazio per la sperimentazione nel sotterraneo, dove i suoi collaboratori affastellano prodotti e ingredienti scovati in giro per il mondo e che restano lì in attesa che qualcuno si inventi che cosa farne. Davide Oldani sta a molti chef italiani anche più incensati come un allenatore di calcio inglese sta a uno italiano: il primo è anche un manager, l'altro pensa solo al 4-2-3-1. Davide Oldani ha la sua faccia su alcune bottigliette di Coca-Cola a tiratura limitata che tiene nascoste. Davide Oldani a molti non sta simpatico ma poi vai a mangiare da lui e scopri un mondo di cortesia, efficienza ed eleganza senza spocchia. Davide Oldani è lo chef monostella più famoso d'Italia, ma del resto ne ha solo una soltanto perché per anni ha perseguito una sua filosofia di prezzi bassi che lui chiamava cucina «pop» (e lo fa tuttora, visto che è un suo brand) e che lo ha reso una case history studiata ad Harvard come modello di business unico nel mondo della ristorazione. davide Oldani ha un suo decalogo con regole tipo: «In cucina, il design è il contenitore che deve valorizzare il contenuto». E: «La spesa va fatta sempre a stomaco pieno, per evitare sprechi». Davide Oldani in un un recente convegno sul «no show», ovvero sul malvezzo di molti clienti di prenotare e poi non presentarsi ha detto che sì, la cosa lo infastidisce, ma del resto a lui non capita mai, e infatti provate a prenotare e vi ritroverete rimandati ad aprile o maggio (se va bene). Davide Oldani ha fatto risistemare la piazza davanti al suo ristoranti «perché gli ospiti devono vedere uno spazio decoroso e prima non lo era» e ha fatto mettere delle scultura che richiamano dei piccoli olmi, epperò guarda storto l'insegna postmoderna (a esser gentili) del parrucchiere di fronte, una cosa tipo «l'isola del capello», e si capisce che presto andrà là a offrirsi di cambiarla a sue spese. Davide Oldani ha il suo ristorante a Cornaredo, i marchi Foo'd («mi raccommando, faccia notare che la d finale è rovesciata per ricreare il d'o») in Asia, un caffè a Malpensa e il ristorante dell'Aman Resort di Venezia, che ha affidato al suo allievo Andrea Torre.

Da Cornaredo alla conquista del mondo.

«Noi italiani abbiamo questa capacità di mettere insieme imprenditoria e artisticità. Abbiamo un'idea diversa, fatta di qualità del cibo, di etica, di benessere della persona».

Bastasse questo chiunque potrebbe aprire un ristorante a Manila.

«Certo, poi c'è la mia filosofia dell'accessibilità, che in una sterminata città come Manila è una cosa innovativa».

Accessibilità vuol dire...

«Facilità nel capire il cibo e nel mangiare il mio cibo».

E pagare il giusto.

«Certo, c'è anche la questione del prezzo. Da me si paga molto meno che in altri ristoranti di quel livello».

Lei disegna e concepisce ogni particolare dei suoi locali, si occupa di tutto. Mi viene in mente l'idea di uno chef rinascimentale...

«Uhm, dipende dal significato» (diffidente). «Tutto sommato mi pare un grande complimento» (gli piace). «Diciamo che è rinascimentale il mio concetto di accoglienza. Fare il layout del ristorante vuol dire dare il massimo per creare uno stato di grazia per i miei ospiti, e non clienti».

Lei tiene molto a Venezia.

«Sì, lì con lo chef Andrea Torre e con la manager Claudia Schwarze stiamo facendo un grande lavoro, rispolverando la cucina italiana legata alla conoscenza delle lezioni della grande cucina internazionale».

Questa l'intervista. Davide Oldani è anche uno di non tante parole. Poi c'è il pranzo. Su un tavolo con vista sulla cucina in cui tutti si muovono come attori di teatro No. Il menu degustazione, sei portate, costa 75 euro. C'è anche un menu rapido da quattro portate a 32 ma nonlo ordina nessuno perché dopo che hai trovato un posto qui mica ti prendi il minimo sindacale. Ecco il Cavolfiore (cotto-crudo, morbido-croccante, acido-basico), l'ardimentoso Carciofo alla Giudia (a noi, romani spocchiosi.

Ma la prova è superata), il Topinambur con polvere di pancetta e taleggio ghiacciato e riso, il Manzo Wellington cotto in cera d'api, il Soufflé di gianduja con gelato alla menta. Beati noi. Beato chi trova posto. Beato chi abita a Manila, chi abita a Singapore, chi va a Venezia.

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