Immigrazione e conti. Governo in difesa sui due dossier caldi che agitano settembre

Già in agenda il Cdm per facilitare i rimpatri, si lavora alla Nadef. Sugli sbarchi Salvini punta il dito contro Bruxelles: «Si gira dall'altra parte». Intanto Giorgetti mette le mani avanti e chiama in causa l'Europa

Immigrazione e conti. Governo in difesa sui due dossier caldi che agitano settembre
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Tra i tanti dossier che affollano l'agenda di Giorgia Meloni in vista del rientro dalla pausa estiva, ce ne sono due destinati a dominare la scena nelle prossime settimane. Settembre, infatti, sarà soprattutto il mese di immigrazione e manovra, due fronti caldi per ragioni molto diverse e su cui il governo è già al lavoro. Nel primo caso per scelta, visto che nella prima settimana del prossimo mese il Consiglio dei ministri dovrebbe dare il via libera a un decreto sicurezza il cui intervento principale sarà quello di velocizzare e semplificare le procedure di rimpatrio per i migranti irregolari che hanno dato segni di pericolosità o violenza. Nel secondo per necessità, perché entro il 27 settembre l'esecutivo deve presentare alle Camere la Nota di aggiornamento al Def, preludio della legge di Bilancio.

Al di là dei tanti nodi sul tavolo (dai dossier Tim, Ita e Montepaschi al salario minimo, passando per Pnrr, fondi per l'alluvione e Mes), sono infatti il capitolo immigrazione e la partita dei conti pubblici le questioni che al momento Palazzo Chigi considera più urgenti. E su cui sembrerebbe intenzionato a muoversi con estrema prudenza.

La questione migranti è soprattutto politica, perché i numeri dicono che a ieri - dato del Viminale - gli arrivi sono più che raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2022 (105mila sbarchi contro 50mila). È vero che i flussi migratori sono molto legati a fattori esogeni (economici, politici e ambientali), ma che il centrodestra abbia condotto la campagna elettorale promettendo una decisa stretta sull'immigrazione è un fatto. Tanto che l'opposizione ha da qualche settimana iniziato a battere sul punto, ben consapevole che il tema per il governo è sensibile. Al punto che già prima della pausa estiva Meloni aveva incontrato il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi per mettere in cantiere un decreto per velocizzare le procedure di rimpatrio degli irregolari violenti o pericolosi. La premier, d'altra parte, è ben cosciente di quanto il dossier sia sensibile, tanto che negli ultimi mesi si è molto spesa con la Tunisia (da cui salpano la metà dei clandestini diretti in Italia) per raggiungere un'intesa che assicurasse una drastica riduzione delle partenze. Strategia che, fanno presente dal Viminale, sta ottenendo i suoi risultati, con una decisa riduzione degli arrivi nell'ultimo trimestre. Intanto, però, dal centrodestra è iniziata la controffensiva. Guidata dal vicepremier Matteo Salvini che ieri ha puntato dritto su Bruxelles. «Il ministero dell'Interno - ha detto - sta lavorando a un nuovo decreto sicurezza per rendere le espulsioni più veloci e meno complicate, perché non possiamo ospitare mezzo mondo in Italia con un'Europa che se ne frega e si volta, come sempre accade, dall'altra parte».

Altro fronte, è quello dei conti. Con il governo che si prepara a scrivere la sua prima manovra (quella dello scorso anno, causa i tempi strettissimi, fu di fatto ereditata da Mario Draghi). Un appuntamento a cui il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti si affaccia con il freno a mano tirato. Ieri, intervenendo al Meeting di Comunione e liberazione, ha infatti deciso di mettere subito le mani avanti: «Sarà una legge di bilancio complicata. Siamo chiamati a decidere delle priorità. Non si potrà fare tutto». Un messaggio agli alleati per prevenire il consueto assalto alla diligenza, certo. Ma anche la scelta di giocare in difesa in vista di un autunno che si annuncia politicamente caldo e con una carenza di risorse che imporrà alla premier una manovra non certo ad ampio respiro.

Anche in questa occasione, con un riferimento - poi corretto - al ruolo di Bruxelles. Perché, spiega Giorgetti, dal primo gennaio «entrerà in vigore il nuovo patto di Stabilità», che «lascerà all'Italia, visto il suo alto debito, ancora meno spazi di intervento».

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