Indomito Panshir. Così Massoud ritarda la nascita del Talebanistan

La resistenza della provincia fa slittare la formazione del governo dell'Emirato islamico. Lacrimogeni contro il corteo di donne a Kabul. Samangani: "Non abbiamo bisogno degli Usa"

Indomito Panshir. Così Massoud ritarda la nascita del Talebanistan

I talebani proseguono giorno dopo giorno nella loro campagna votata all'oscurantismo. Le promesse del portavoce Zabiullah Mujahid sul governo inclusivo, i diritti delle donne e la non violenza, sembrano ormai un lontano ricordo, nonostante le parole di apertura fossero state pronunciate meno di tre settimane fa. Tanto per cominciare hanno posticipato per la seconda volta l'annuncio del nuovo governo, previsto inizialmente per venerdì. Gli estremisti potrebbero aver deciso di rimandare la nomina del «comitato dei 12» fino a quando non si arrivi a una svolta nella valle del Panshir, unico territorio dell'Afghanistan non ancora caduto nelle loro mani.

Giovedì si era sparsa la voce che la città di Bazarak fosse capitolata, ma il capo della resistenza, Ahmad Massoud, è riapparso sui social con un messaggio su Facebook dopo che era circolata persino la notizia di una sua fuga in Tagikistan. «Non rinunceremo mai a combattere per la libertà e per la giustizia - ha scritto il figlio del leggendario generale Massoud -. La lotta in Panshir e a Herat, con le nostre coraggiose sorelle, dimostra che il popolo non ha rinunciato a rivendicare i suoi diritti e non teme alcuna minaccia».

Eppure i talebani continuano a spostare uomini nella regione. Nella notte di sabato hanno raggiunto il villaggio di Anabah, dove si trovano il centro chirurgico, pediatrico e di maternità di Emergency. È stata la stessa organizzazione a confermare la notizia. Al momento l'attività dell'ospedale non sembra aver subito interferenze e continua normalmente.

Massoud su Facebook fa un riferimento per nulla casuale alle donne, che ancora una volta sono scese per le strade di Kabul chiedendo l'inclusione nel futuro esecutivo e il rispetto dei diritti. La manifestazione si è conclusa con una serie di scontri, dopo che i talebani hanno fatto ricorso ai gas lacrimogeni per impedire l'avanzata del corteo verso il palazzo presidenziale. Quanto accaduto è stato raccontato all'Associated Press da Sudaba Kabiri, una studentessa universitaria di 24 anni. «Hanno lanciato lacrimogeni e sparato in aria. Siamo però riusciti a parlare con alcuni loro rappresentanti che ci hanno garantito una presenza nel governo. Noi però siamo scettiche, sappiamo che non è vero e che al massimo ci assegneranno qualche ruolo marginale per lavarsi la coscienza con gli Stati Uniti». Sotto questo punto di vista il gruppo guidato da Abdul Ghani Baradar sembra voler mantenere un rapporto con Washington, ma la corrente guidata da Inamullah Samangani, responsabile della commissione culturale, la pensa in altro modo. «Non abbiamo bisogno della cooperazione degli Usa o di nessun altro Paese - dice Samangani -. Non siamo terroristi, sappiamo come difendere il nostro Paese». Frasi che stridono con quanto accaduto l'altro ieri a Auckland, in Nuova Zelanda, dove il lupo solitario Mohamed Samsudeen ha accoltellato sei persone in un centro commerciale in nome della causa talebana.

Nel frattempo una squadra di tecnici è riuscita a riaprire l'aeroporto di Kabul, che è pronto a ricevere aiuti e per il trasporto civile. L'ha raccontato ad Al Jazeera Saeed Mubarak al-Khayarin, ambasciatore del Qatar in Afghanistan.

«Le piste sono tornate a essere funzionali grazie alla collaborazione con le autorità talebane. Per il momento verrà garantita la circolazione interna». Gli aiuti umanitari provenienti dall'Onu e da Bruxelles stanno invece transitando dagli hub di Mazar-i-Sharif al nord e di Kandahar al sud.

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