La vita non è solo, come in «Ogni maledetta domenica», una questione di centimetri. È fatta anche dei tanti «più» e dei tanti «meno» che scandiscono le esistenze di tutti. E di quell'ossimoro esistenziale tatuato sulla pelle di chi ha un conto aperto con le banche e sa bene che non sempre un segno positivo è buona cosa. Con i mutui, il «più» accanto alla rata da pagare lavora infatti in sottrazione sul bilancio domestico, impoverendolo. Così, quasi per un paradosso temporale, nello stesso giorno in cui l'Istat ha annunciato la prima diminuzione - dopo due anni e mezzo - dell'inflazione mensile (un -0,2% in ottobre da accoppiare al +1,7% su base annua e da confrontare con il +5,3% di settembre), l'Abi ha comunicato che il tasso medio per l'acquisto di abitazioni è stato in ottobre del 4,37%, contro il 4,21% di settembre, mentre i tassi sui nuovi prestiti alle imprese sono saliti il mese scorso al 5,45% dal 5,35% del mese precedente.
Incuranti sia della messa in «stand-by» della politica monetaria da parte della Bce di Christine Lagarde (in foto), sia dei segnali di un conclamato e forte rallentamento della corsa dei prezzi, le banche hanno insomma continuato a rendere sempre più salati i prestiti. Senza troppo angustiarsi per i due fenomeni che hanno contribuito a generare: il «credit crunch» correlato alla rarefazione degli impieghi (64 miliardi di euro nell'ultimo anno, secondo la stima di Unimpresa); un aumento delle sofferenze determinato dalle difficoltà di molti clienti a onorare le rate dei mutui. È una gestione unidimensionale che potrebbe rivelarsi un boomerang, ma che finora ha pagato in termini di capitalizzazione borsistica (+44% da inizio anno) e soprattutto di redditività visto che, a fine anno, i profitti del settore potrebbero sfiorare i 40 miliardi. Senza che un solo euro di extra-profitto venga versato nelle casse dello Stato. In compenso, ai correntisti viene sempre applicata la regola dello «zero, virgola», con i tassi sui depositi in conto corrente cresciuti in modo impercettibile: dallo 0,47% di settembre allo 0,51% di ottobre. Va un po' meglio con gli interessi sui c/c con durata prestabilita (3,57% in ottobre, dal 3,56% in settembre), ma non tutti possono permettersi di vincolare i propri risparmi per un determinato periodo.
La fase ascensionale dei tassi sui mutui potrebbe però essere finita, ora che il processo disinflazionistico si sta radicando nell'eurozona. Al punto da portare un parziale sollievo alle famiglie, grazie a un carrello della spesa meno pesante da spingere fino alla cassa (prezzi dal +8,1% di settembre al +6,1% del mese scorso). Nelle sue previsioni economiche d'autunno, la Commissione Ue indica inoltre un'ulteriore ritirata del carovita entro fine anno, con l'indice dei prezzi atteso nel 2023 al 5,6% dall'8,4% del 2022, in discesa al 3,2% l'anno prossimo e al 2,2% nel 2025.
Molti analisti concordano che, come nel caso della Fed, anche il ciclo di inasprimenti della Bce sia ormai ai titoli di coda.
È peraltro verosimile che l'Eurotower mantenga un atteggiamento prudente - visti i possibili colpi di coda dell'inflazione che potrebbero essere generati dall'energia - prima di cominciare a mettere sul tavolo le discussioni legate a un allentamento della politica monetaria. Ci vorranno ancora mesi, quindi, prima di salutare il primo taglio del costo del denaro. Un «meno» che sarà quantomai positivo.
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