Italia avida e sprecona: le tasse superano il Pil. E il debito è "cattivo"

La Cgia: dal 2000 il fisco è salito 3,5 punti più del Paese. Una tegola da 166 miliardi

Italia avida e sprecona: le tasse superano il Pil. E il debito è "cattivo"

In Italia le tasse crescono più di quanto faccia il Paese. I numeri messi nero su bianco dalla Cgia di Mestre fotografano il paradosso: negli ultimi vent'anni anni le entrate tributarie sono aumentate di 166 miliardi di euro. Nel duemila il Fisco incassava 350,5 miliardi di euro, nel 2019 invece 516,6 miliardi. Con una crescita che nel ventennio è stata del 47,4%, 3,5 punti in più rispetto all'aumento registrato nello stesso periodo dal Pil (+44,2%). Anche l'inflazione - scrive l'ufficio studi della Cgia - è aumentata del 37%, dieci punti in meno rispetto alla crescita del gettito fiscale.

E siamo ai primi posti proprio per pressione fiscale rispetto al Pil - stando agli ultimi dati dell'Ocse - tra i 37 Paesi più industrializzati al mondo: l'Italia è quarta con l'Austria (42,4 per cento). Davanti ci sono Danimarca (46,3), Francia (45,4 per cento), Belgio e Svezia (entrambe al 42,9 per cento). La Germania invece ha una pressione fiscale inferiore a quella dell'Italia di 3,6 punti, la Spagna di 7,8 e il Regno Unito di 9,4 punti.

«Qualcuno può affermare con cognizione di causa che con 166 miliardi di entrate in più la nostra macchina pubblica ha funzionato meglio e i contribuenti italiani hanno ricevuto più servizi, oppure questo prelievo aggiuntivo li ha impoveriti, contribuendo a non far crescere il Paese? Noi non abbiamo dubbi; propendiamo senza esitazioni per la seconda ipotesi», è la dura nota della Cgia.

Ed è il ritratto di un Paese fermo che ora spera nel rimbalzo economico post covid, con stime di crescita che toccano il 4,9 per cento per il 2021. Ma che sulle spalle porta pur sempre un indebitamento tra i più alti d'Europa (alla fine dell'emergenza sanitaria arriverà al 160 per cento). Ed è l'esempio di quel «debito cattivo» citato più volte da Mario Draghi, fatto di spesa improduttiva incapace di produrre crescita. È con questo fardello l'Italia si gioca la sfida del Recovery, e per questo il presidente del consiglio due giorni fa ha ribadito il monito: «Oggi è giusto indebitarsi. Ma questo non è sempre vero. Esiste una differenza tra debito buono e cattivo. Ciò che li differenzia è l'uso che si fa delle risorse. Il debito può rafforzarci, se ci permette di migliorare il benessere del nostro Paese, ma anche rendere più fragili, se sprechiamo le risorse».

Come sono stati distribuiti i miliardi versati allo Stato? Scrive la Cgia che nel 2019 l'85,4 per cento del totale del gettito tributario è stato prelevato dallo Stato «centrale»: 441,4 miliardi su un totale di 516,6. Per contro, «agli enti periferici sono andate le «briciole»: praticamente poco più di 75 miliardi, pari al 14,6 per cento del totale».

A pesare di più tra le venti voci di imposte e tributi sono Irpef, Iva e Ires, che costano ai contribuenti italiani un valore complessivo pari a 320,6 miliardi di euro. Un importo che «copre» da solo il 62% del gettito complessivo. «In vista della prossima riforma fiscale - chiede la Cgia - oltre a ridurre il carico in capo a famiglie e imprese, appare sempre più necessario semplificare il quadro generale, tagliando gabelle e balzelli che, per l'erario, spesso costituiscono più un costo che un vantaggio. Oltre a tagliare le tasse attraverso il federalismo fiscale, per il popolo delle partite Iva è necessario eliminare da subito l'attuale sistema degli acconti e dei saldi, consentendo alle aziende di pagare le tasse solo su quanto hanno effettivamente incassato.

Un'operazione trasparenza - dicono dall'ufficio studi - che consentirebbe di passare da un sistema di prelievo sugli incassi presunti a uno sugli incassi effettivi, eliminando non solo il sistema del saldo e acconto, ma pure la formazione di crediti fiscali e la conseguente attesa, da parte delle aziende, dei rimborsi fiscali che spesso arrivano con ritardi ingiustificabili».

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