Il killer e l'inferno della sorella. "Minacciò anche me col coltello"

Il racconto di Awa: "Non era più lui per colpa della droga. Un giorno mi piombò alle spalle armato, poi se ne andò ridendo". La gente e i messaggi sul luogo del delitto

Il killer e l'inferno della sorella. "Minacciò anche me col coltello"
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«Non doveva finire così, nessuno si è mosso per lui». Awa, studentessa 24enne, è scioccata e addolorata ma ha anche la forza di denunciare. Dopo aver scoperto che suo fratello, Moussa Sangare, ha ucciso Sharon Verzeni racconta la parabola del 31enne: da quando «era un bravo ragazzo» al momento in cui ha cominciato a drogarsi e ad essere violento.

Dentro la testa di Sangare tutto è cominciato quando, nel 2019, è partito per gli Stati Uniti e poi per Londra: «È tornato ammettendo di aver iniziato a fare uso di droghe sintetiche. Non era più lui. Ci sono stati giorni in cui la paura era sempre dentro le mura di casa, non mi lasciava mai. Giorni in cui urlava, parlava da solo, delirava», ricorda.

La situazione è degenerata la scorsa primavera, quando Moussa Sangare è il 20 aprile minaccia Awa con un coltello. «Mi ha raggiunto alle spalle mentre stavo ascoltando la musica in sala e mi ha minacciato con un coltello. Io non mi ero accorta di niente: mia mamma, che da quando ha avuto l'ictus non riesce più a parlare, cercava di farmi capire che ero in pericolo. Allora io mi sono girata e Moussa si è fermato. Se n'è andato, ridendo». Racconti inquietanti, che oggi sembrano essere solo il preludio della mattanza compiuta tre mesi dopo contro un'ignara passante che guardava le stelle ascoltando la musica con le cuffiette: Sharon.

A maggio il 31enne viene denunciato per la terza volta dalla sorella e dalla madre. E da allora, secondo la ragazza, la famiglia interrompe i contatti con lui. «Stavamo nella stessa casa ma su due piani diversi e lui di giorno si chiudeva in casa e usciva la notte, è sempre stato solitario. E comunque negli ultimi tempi non si è più mostrato violento con noi».

La violenza che aveva dentro, invece, l'ha espulsa quella notte tra il 29 e il 30 luglio a Terno d'Isola, a meno di cinque chilometri da casa. «Scusa per quello che ti sto per fare», dice lui alla sua vittima mentre sferra i quattro fendenti alla schiena e al petto di Sharon. E la 33enne chiede disperatamente «Perché? Perché? Perché?». È lo stesso killer a confessare, in venti pagine di verbale piene di dettagli atroci, gli attimi di quella notte compresa la descrizione della scena cruciale, quando decide che sarà Sharon la vittima prescelta.

La Bergamasca, intanto, resta scossa dal delitto dell'estate: mentre a Terno d'Isola il luogo del delitto diventa sempre più meta di pellegrinaggio con messaggi di solidarietà, verità e giustizia a Bergamo l'uomo - sorvegliato a vista in carcere con l'accusa di omicidio aggravato dalla premeditazione dai futili motivi - oggi ripeterà al gip Raffaella Mascarino il suo macabro racconto nell'interrogatorio di convalida del fermo. In attesa della perizia.

La sorella di Sangare ammette che mai avrebbe pensato ad un simile epilogo: «Quando ci hanno detto che era stato lui a uccidere quella povera ragazza, siamo rimaste scioccate. Sapevamo che non stava bene, ma mai avremmo potuto pensare che potesse arrivare a questo».

E poi rileva: «Noi abbiamo fatto di tutto per liberarlo dalla dipendenza, per affidarlo a chi potesse aiutarlo, ma lui ha sempre rifiutato.

A noi, dopo aver verbalizzato le denunce, hanno dato i volantini dei centri antiviolenza mentre per un ricovero in qualche centro per fare uscire Moussa dalla dipendenza ci hanno risposto che doveva essere lui a presentarsi in modo volontario».

Parole che pongono nuove ombre su questa storia, incredibile per molti versi.

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