Lo spirito di Kissinger si è librato ieri sul Medio Oriente. Con «constructive ambiguity» (ambiguità costruttiva) gli americani hanno detto a ciascuna delle due parti, Israele e Hamas, quello che vogliono sentirsi dire. Tutto per imporre la loro ricetta.
In particolare, nel caso di Israele, il presidente si muove su un cavo sospeso in prossimità delle elezioni: dalla sua parte, ma sempre in un ruolo di vecchio saggio e punitivo. Basta con la guerra, ha detto Joe Biden, e come al gesto di un direttore d'orchestra tutti gli strumenti, dalla Francia all'Inghilterra, hanno suonato. Emmanuel Macron ha persino scritto in Ebraico. Ma il fatto che Biden sia stanco della guerra, come tutti del resto, non rende la guerra più facile da concludere. Ci sono nemici irriducibili. E Hamas ha come suo scopo basilare distruggere Israele, e l'ha provato. Biden nell'assicurare, venerdì, che conviene la pace perché comunque «Hamas non è più capace di compiere un altro 7 ottobre» di fatto cancella la promessa degli Usa di collaborare nello sradicare Hamas. Netanyahu nel rispondere a Biden, non ha detto «no» ma ha parlato di una proposta «non starter» a meno di un'«eliminazione delle capacità belliche e governative», di cui Biden non ha parlato. Ma anche il linguaggio è più morbido, il premier non parla della solita «vittoria completa». Le porte non sono chiuse. Biden ha ripreso la proposta israeliana che Hamas aveva respinto. Hamas fa una capriola poco credibile nel dichiararsi interessato dopo averla trovata pessima.
Ma perché Benjamin Netanyahu gli ha risposto, persino di Shabbat, giorno (non scelto a caso, probabilmente, dagli Usa) in cui Israele è fuori uso se non per questioni di vita o di morte? Perché Biden nella proposta, riveduta e corretta, chiude la guerra all'inizio del processo, mentre Hamas è ancora al potere, e questo non c'è nella proposta israeliana, che prevede sei settimane di stop al fuoco, senza chiudere la guerra: qui si riconsegnano i rapiti «umanitari», e si verifica, avviando una trattativa per la seconda fase in cui tornano a casa tutti gli ostaggi.
La guerra finisce quando Hamas lascia il potere. Impegnarsi a chiudere prima è un azzardo, e Biden sbaglia a chiamare il dissenso contro Netanyahu: la sua determinazione invece cresce nei consensi, perché Israele odia la guerra, vuole i rapiti, ma combatte Hamas per necessità. Bibi incarna la determinazione nel distruggere Hamas, e insieme nel recuperare i propri cari. Tre sono le fasi, lo stop alla guerra fin dall'inizio non funziona. Biden ha evitato di parlare dello Stato Palestinese, preferendo indicare un futuro in cui balena la presenza dell'Arabia Saudita garante di un futuro sicuro e luminoso. Notevole anche che non dica una parola sullo Tzir Filadelfi e Rafah: Biden sa che da là Hamas trae l'ossigeno. È un messaggio a Bibi: l'America capisce perfino Rafah, ma concludi la guerra. Il primo ministro israeliano in queste ore ci sta pensando su, ma per lui le tre fasi devono lasciare spazio alla distruzione di Hamas. Non c'entra con l'eventuale dissenso di Ben Gvir e Smotrich.
Ha pronto il ricambio per un nuovo governo. Per lui Israele è pronto a compromessi, a soli 33 rapiti nella prima fase, alla scelta di Hamas dei prigionieri, anche pericolosi assassini. Ma non sulla possibilità che Hamas seguiti a regnare su Gaza.
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