Quella foto ha smesso di parlare. È l'11 settembre che uccide ancora. S'è preso la «signora polvere», Dust Lady, Marcy Borders quindi, la donna che il mondo ha visto nello scatto di un fotografo della France Presse: la incrociò spaurita, quasi bloccata, con lo sguardo di chi non sapeva che fare, né dove andare. Lei nera, lei bianca della polvere delle macerie di un pezzo di World Trade Center appena crollato. Aveva 28 anni. Salva e segnata, perché un tumore l'ha uccisa a 42 anni, ieri, ma su ogni ricordo, su ogni ritratto della stampa e delle tv americane si sente dire che abbia cominciato a morire proprio quel giorno del 2001. Quando Stan Honda la ritrasse in quell'immagine diventata una copertina di Time e poi il simbolo dei sopravvissuti all'11/9 stava cercando una via di fuga. Aveva disobbedito agli ordini dei superiori della Bank of America: loro invitavano tutti alla calma, al piano 81 della Torre Nord delle Twin Towers, la prima a essere colpita dai terroristi di Al Qaida. Calma? Come calma? Marcy fece il contrario: scappò, di corsa, lungo le scale. Giù 80 piani, senza vedere, ma sentendo, ascoltando l'Apocalisse che stava vivendo in diretta. Non sapeva niente di Bin Laden, né dell'islam, né dei talebani, né di niente. Perché? Domanda semplice che l'ha accompagnata anche dopo. Perché? Nelle interviste rilasciate per il decennale della strage non aveva ancora smesso di chiederselo, ma sembrava serena dopo dieci anni di disastri.
Era stato un calvario, fino ad allora. Mai più un solo giorno di lavoro, bloccata dalla paura. Poi gli attacchi di panico, l'abuso di alcol, poi quello di crack. Persa come decine di migliaia di americani che gli psicologi definiscono come «affetti dalla sindrome da trauma collettivo». Dieci anni non erano bastati per annullare gli effetti della tragedia nella mente dei newyorkesi. Lady Dust entrava in tutte le ricerche, una specie esemplare in cattività del sopravvissuto celebre. Marcy era celebre per quella foto. Un privilegio e un incubo in contemporanea. Con le angosce sempre più forti. Non sapeva di essere malata di cancro, sapeva di essere malata comunque. I servizi sociali a un certo punto le tolsero i suoi tre figli. Poi entrò in un programma di disintossicazione, riprese a vedere uno psicoterapeuta, tornò in contatto con i volontari del centro vittime dell'11 settembre. Viveva nel New Jersey, per 14 anni non ha mai più messo piede a Manhattan. Ha detto d'averci provato, ma una volta in auto è stata vittima di un attacco di panico e ha mollato. A giugno del 2011 i servizi sociali le hanno riaffidato i figli. Temporaneamente. Poi il tempo è diventato di più, poi ancora di più, fino al riaffido totale. Perché con la paura aveva imparato a vivere. Con la paura, però. Non con il cancro. L'ha scoperto non molto tempo fa e la prima volta che ne ha parlato, ha detto chiaramente di non avere dubbi sulla causa, nonostante qualcuno continuasse a sostenere la mancanza di prove di un collegamento con la tragedia dell'11 settembre.
E la certezza non c'è neppure adesso che è morta. Il che non servirà mai a cambiare la convinzione collettiva che la polvere che la trasformò in un simbolo è stata assassina a freddo. Vittima 2975 per convenzione. Ovvero 2974 di quel giorno e adesso lei. Senza contare gli altri che in 14 anni sono stati uccisi dalle conseguenze della violenza islamista. La verità è sostituita dalle suggestioni, da certezze individuali che diventano collettive, perché così è più facile metabolizzare, così è meno difficile rispondere a quella domanda iniziale, l'unica: perché?
Dust Lady è un simbolo, anche oltre la sua volontà o persino contro la sua ostinazione. Lei come l'uomo che cade e come il fotografo Richard Drew che quella foto l'ha scattata senza neanche sapere chi fosse quell'uomo e accettando - forse unico al mondo a farlo - di non saperlo mai. Lei come il pompiere che alza la bandiera americana sulle macerie del World Trade Center. Lei come Edward Fine, l'uomo col fazzoletto sulla bocca e la valigetta in mano che cerca una strada che lo porti verso il Nord di Manhattan, lontano dalla morte e dalla nuvola di detriti, polvere e resti umani che per settimane avvolse la zona Sud della città. Tutti emblemi loro malgrado di una storia che non è finita, tumori o meno.
Non hanno chiesto la notorietà globale che hanno avuto, ci sono inciampati nel giorno più assurdo della storia dell'umanità. Il peggiore, per molti. Perché non ha smesso di uccidere, perché continuerà a farlo anche quando tutti i sopravvissuti non ci saranno più. Non si esce da una storia così, né da vivi, né da morti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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