L'appello di Mr. Geox: "Commercio più libero"

Moretti Polegato invoca la svolta culturale: "L'Italia deve puntare su qualità e innovazione"

L'appello di Mr. Geox: "Commercio più libero"

Roma - Il capitalismo italiano si evolva. E lo faccia alla svelta, altrimenti sarà liberi tutti. Mario Moretti Polegato, presidente e fondatore di Geox, ospite all'università Luiss di Roma, si scaglia contro l'arretratezza che affligge il nostro sistema produttivo. «L'Italia deve passare dal capitalismo industriale al capitalismo culturale, esportando idee di qualità anziché limitarsi ai beni di consumo». Se il salto da un modello di produzione all'altro fallirà, avverte, «le menti brillanti lasceranno il Paese. È un'emergenza che la politica deve prendere di petto». Il re veneto della scarpa, che nel 2009 ha acquistato anche il marchio Diadora ed è a capo di un impero da 30mila dipendenti, lancia un allarme che è quello di tutto il mondo imprenditoriale. «L'Italia deve diventare un Paese in cui si progetta. Oggi siamo una nazione di semplici artigiani, che non riesce a innovare. Le braccia all'industria le forniscono già la Cina e l'Africa. Noi dobbiamo usare il cervello».

Negli ultimi anni Geox, società quotata alla borsa di Milano, ha registrato una leggera flessione nei suoi guadagni. Nel 2016 i ricavi si sono fermati a 901 milioni, contro i 913 previsti. Due mesi fa il proprietario ha liquidato l'ad Giorgio Presca, per rimpiazzarlo con l'ex manager di Pirelli Gregorio Borgo. Ciò nonostante, gli utili rimangono elevati e i debiti, che nel 2013 avevano portato per la prima volta in rosso il bilancio, sono quasi a zero.

Il produttore di calzature trevigiano, che ha inventato la scarpa che respira bucandosi le suole con un coltello svizzero mentre passeggiava nel deserto del Nevada, se la prende con il dilagante neo-protezionismo. «Non è pensabile chiudere le frontiere con l'estero per difenderci dalla globalizzazione. Diventeremmo San Marino. Per far comprendere alle persone i benefici di un mondo aperto serve la rinascita dell'Europa, che deve fare da contraltare a un'America che vuole sbarrare i confini». I campioni del liberalismo, almeno a parole, oggi sono i cinesi. Al Forum economico di Davos dello scorso gennaio, è stato il presidente della Repubblica popolare Xi Jinping a difendere i capisaldi del libero mercato. La Cina, che si trova al 111° posto nella classifica della libertà economica stilata dal think tank americano Heritage Foundation, rimane un Paese dirigista e protezionista.

Polegato scuote la testa: «Possiamo permettere a uno Stato comunista che si professa liberale di difendere i principi delle nostre società? A Davos si è sempre parlato di come ampliare i commerci e delle strategie per far circolare le persone senza ostacoli in tutto il mondo. Quest'anno si respirava un'atmosfera di chiusura, e i nostri temi sono finiti in bocca a Xi».

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