Mentre per le strade di Gerusalemme ieri sono scesi in piazza anche i sostenitori della riforma sulla giustizia, il congelamento del controverso testo da parte di Benjamin Netanyahu «per evitare un guerra civile» produce una serie di effetti politici a cascata. Intanto quando ha precisato che «serve tempo per raggiungere un ampio accordo» Netanyahu ha depotenziato nel merito le critiche delle opposizioni che, da adesso in poi, avranno in mano meno armi da impiegare.
Ma soprattutto, al di là della spaccatura interna della maggioranza, dinanzi al premier si apre ora la possibilità di ribaltare il tavolo e trasformare la crisi in opportunità politica, come ha più volte dimostrato in passato di saper fare alla perfezione. «Rivoltare ogni pietra per trovare una soluzione», ha detto, può significare anche cambiare schema e non è escluso che il premier imbocchi quella via, come una stagione costituente. A questo punto, e al fine di decrittare il futuro politico di un Paese attraversato da cinque elezioni in meno di tre anni, potrebbe essere utile segnare sul taccuino due nomi: Benny Gantz e Isaac Herzog.
Il primo è l'unico che in questi giorni ha dimostrato una certa disponibilità costruens verso il premier, mentre l'altro player dell'opposizione, cioè Yair Lapid, seguitava a dare dell'assassino nazista a Netanyahu. Fonti del Likud nei giorni scorsi hanno riferito che Bibi e Gantz hanno avuto una serie di contatti, in cui il primo ministro aveva detto a Gantz: «La mia porta è aperta, vieni ora». Tuttavia i due sono sì rimasti in disaccordo sulle condizioni per intavolare una discussione circa il futuro, ma hanno anche provato a capire i tempi di un eventuale «nuovo» dialogo.
Nel mentre, l'approccio di Gantz, che ha tenuto un atteggiamento più ovattato, è un possibile segnale di fumo rivolto anche al Presidente della Repubblica: indica che, in caso di rottura dell'attuale coalizione, ci potrebbe essere una voce responsabile in grado di evitare il naufragio e l'ennesima elezione, con tutto ciò che potrebbe determinare sullo scacchiere internazionale, dove i nemici di Israele senza dubbio festeggerebbero.
L'opportunità dunque di un filo diretto con Gantz per Netanyahu sarebbe doppia, perché potrebbe così essere tentato di staccarsi definitivamente dalla destra estrema di Otzma Yehudit con il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir (che ha votato a favore di Netanyahu in una mozione di sfiducia alla Knesset). E a quel punto provare a cercare un terreno comune con il partito di Ganz che, essendo stato anche Capo di Stato maggiore a suo tempo e poi ministro della Difesa, presenta tutta un'altra stazza rispetto alle esigenze odierne di Netanyahu, che fanno capo comunque sempre al dossier iraniano.
Lo stesso presidente Isaac Herzog ha sempre seguitato a spingere nella direzione di una riconciliazione fra le due parti. Si potrebbe aprire anche uno scenario caratterizzato dalla possibilità che questa situazione altamente complessa possa trasformarsi per Netanyahu in un clamoroso balzo in avanti: smarcarsi dalla destra estrema, ricondurre Gantz a un rapporto che al tempo rifiutò e che costrinse Netanyahu a degli accordi che si sono rivelati non lungimiranti. E chiudere così «costituzionalmente» il cerchio politico. Il tutto senza dimenticare le pressioni interne del Likud, dove la fazione anti-Bibi continua a lavorare ai suoi fianchi per stimolare una successione leaderistica, che però manca di un delfino vero e proprio.
Le parole pronunciate da Ganzt nella serata di ieri sembrano andare proprio in questa direzione e testimoniano ulteriormente questa apertura quando dice che
si recherà dal Presidente «con il cuore aperto, non per sconfiggere ma per concordare». Esattamente fra un mese, il 26 Aprile, ci sarà la Festa dell'Indipendenza: in trenta giorni dialogo e svolta possono vedere la luce.
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