Le mosse e le "purghe" di Letta: il risiko delle liste Pd

Il segretario del Pd organizza la sua strategia per continuare a controllare i gruppi parlamentari quando non sarà più segretario

Le mosse e le "purghe" di Letta: il risiko delle liste Pd

La scadenza per la presentazione delle liste è fissata per il 22 agosto, ma Enrico Letta aveva promesso che non ci sarebbe stata una notte dei lunghi coltelli come quella di Renzi del 2018 in cui all’ultimo momento utile saltarono candidature importanti dalle liste compresi nomi eccellenti come Gianni Cuperlo.

Eppure Letta non riesce a mantenere la promessa. La direzione che avrebbe dovuto votare le liste, convocata per ieri, è slittata a oggi, e continua a essere posticipata di ora in ora. Adesso è fissata per le 20. Il Pd minimizza: "Non c'è alcuna tensione, ma solo fisiologiche discussioni. Siamo un partito".

In realtà le cose sono molto più complicate, e nel partito è in corso una vera guerra tra candidati, correnti, capibastone, territori, circoli, e parlamentari uscenti.

Mentre gli incontri con i partiti e le correnti si sono tenuti all’Arel, l’associazione personale di Letta, le liste si fanno al Nazareno nel bunker inaccessibile di Marco Meloni, plenipotenziario del Segretario.

Funziona così: i collegi sicuri vengono spartiti tra le correnti, per gli altri scelgono segreterie regionali chi schierare. Ma un 20 per cento spetta al segretario, una cifra altissima che ha fatto arrabbiare i capicorrente, soprattutto Andrea Orlando.

Poi c’è da garantire le percentuali siglate dal patto con gli alleati, e da qui i collegi blindati a Firenze per Roberto Speranza (lucano); a Pisa per Fratoianni, sempre in toscana per Bonelli e Della Vedova, a Roma per Bonino, e poi quelli di Di Maio e Tabacci.

Saltano Ceccanti, Giuditta Pini, e dopo la richiesta di restituzione dei soldi trovati nelal cuccia del cane anche la Cirinnà.

Bisogna invece assicurare 4 posti per i giovani e ancora non si sa a chi scaricare le due ex sindacaliste Camusso e Furlan che nessuna segreteria territoriale vuole. Mentre Franceschini finisce in Campania, forse per Pompei.

Ma c'è una regola fissata da Enrico Letta alla base di tutto: fuori tutti gli ex renziani.

E quindi saltano Salvatore Margiotta, Tommaso Nannicini, Dario Stefano che ha già lasciato il partito per candidarsi con Italia Viva, in bilico anche Marcucci e tanti ex riformisti di periferia. È fuori anche Luca Lotti, tanto che è intervenuto a suo favore Ugo Sposetti, l’ultimo comunista rimasto, tesoriere della cassa dei Ds, l’uomo politicamente più distante a Lotti, che oggi ha lanciato un appello a candidare l'ex renziano per chiudere l’epoca giustizialista.

Nel frattempo Bonaccini promette di fare campagna elettorale fino al 25 settembre, senza smentire di essere candidato per il congresso dal 26. Tradotto: sta gia facendo campagna elettorale per far perdere Letta. E questo ovviamente passa dalla sconfitta elettorale del Pd.

Il Presidente dell' Emilia Romagna ha in maggioranza anche Italia Viva, e Renzi, suo amico, gli ha già fatto un mezzo endorsment per la segreteria.

Da qui l’esigenza per Letta di far fuori dal parlamento tutti gli ex renziani, che probabilmente tornerebbero ad esserlo. La strategia del Segretario è di poter continuare a gestire i gruppi parlamentari anche quando non gestirà più il partito.

Ma che questo posso avvenire è solo una rosea speranza del disperato Letta. Lui stesso ha provato sulla sua pelle come nel Pd i gruppi parlamentari non sono mai stati autonomi dal partito, in barba alla libertà di vincolo di mandato sancita dalla Costituzione. Presidente del Consiglio nel 2014, dopo il famoso “stai sereno” declamato in parlamento dall’appena eletto segretario Renzi, Letta si prese la sfiducia dalla direzione Pd e saltando il passaggio alle Camere diede le dimissioni da Chigi senza parlamentarizzare la crisi.

Sapeva bene che la volontà dei gruppi parlamentari del Pd difficilmente si sarebbe allontanata da quella indicata dal partito. E questo per un solo motivo: tutti i parlamentari, a maggior ragione in un sistema elettorale senza preferenze, con i posti decisi dalla segreteria, dal momento che vengono eletti hanno un solo obiettivo: garantirsi l’elezione per il mandato successivo. Che passa, inevitabilmente, dalla simpatia del Segretario.

Letta può fare piazza pulita di tutti i renziani, sostituendoli con gli uomini di sua fiducia. Dal 26 settembre saranno tutti bonacciniani.

Del resto anche con Renzi la minoranza interna impegnata dal primo momento della sua segreteria a far fuori quello che D'alema chiamò "l'incidente di percorso", in parlamento votò job acts, Buona scuola, sblocca italia, e tutte le riforme renziane che oggi criticano.

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