"L'Europa? Camicia di forza imposta dai tedeschi"

Nel suo ultimo libro il titolare del Tesoro in pectore attacca l'establishment e la moneta unica

"L'Europa? Camicia di forza imposta dai tedeschi"

Non è solo Conte il problema del governo Salvimaio. Se il curriculum taroccato del premier «in pectore» ha conquistato in un attimo titoli dei siti di informazione e spazi social, ad agitare corridoi e palazzi romani è stata anche e soprattutto la possibile nomina di Paolo Savona a ministro dell'Economia. Abile navigatore della politica e dell'alta burocrazia, capace di andare al governo con Ciampi (Ministro dell'industria) e con Berlusconi (capo del Dipartimento delle politiche comunitarie), negli ultimi anni interlocutore di anti-euro a tempo pieno come Alberto Bagnai e Carlo Pelanda, Savona rischia di pagare caro un atteggiamento anti-establishment che sembra fare a pugni con la sua storia passata nonchè la volontà di togliersi qualche sassolino dalle scarpe. E il sassolino è un agile volume di 344 pagine, la sua autobiografia (Come un incubo e come un sogno) in uscita in questi giorni per Rubettino.

Nel libro, dall'alto dei suoi 82 anni a ottobre, Savona fa letteralmente a pezzi le politiche seguite per trent'anni dalle élite dirigenti italiane (e a cui a dir la verità, lui stesso ha contribuito). L'Europa? Sostanzialmente solo una camicia di forza voluta dalla Germania per ottenere per via economica quello che non è riuscita a imporre con la forza degli eserciti: il predominio sugli altri Paesi del Continente. L'euro? «Una creatura bio-giuridica costruita male». Le autorità di Bruxelles? In grado, senza la minima dignità, di pretendere politiche di austerità che hanno l'unico effetto di aggravare la depressione economica. E per quanto l'interessato neghi simpatie sovraniste o peggio, la chiave interpretativa del volume è quella di un establishment che con il suo comportamento suscita «ribellioni liquidate come populismo». Insomma: popolo contro élite: «Ai gruppi dirigenti, ma anche all'intero Paese è mancata una seria riflessione sulle conseguenze restrittive della libertà di governare le proprie sorti senza prima assicurarsi che la delega concessa a istituzioni sovranazionali potesse garantire risultati migliori».

Nella sua ansia liberatoria Savona dà un nome e un cognome ai colpevoli della cattiva strada presa dall'Italia. E non manca quasi nessuno: da Monti, fin troppo facile bersaglio («portabandiera del servilismo agli interessi dei poteri dominanti»), fino al governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco (accusato di essere un distratto rappresentante degli interessi dell'Italia per quanto riguarda regolamentazione bancaria e protezione del risparmio), per finire con il di solito intoccabile Mario Draghi, accusato di aver contribuito a decisioni rivelatesi dannose per il nostro Paese e di non averne tratto le conseguenze dando in un secondo tempo le dimissioni.

Non c'è da meravigliarsi che di fronte a tanto furore iconoclasta il presidente Mattarella e i suoi abbiano alzato un muro di diffidenza e siano andati a rileggere articoli scritti non molto tempo fa da Savona in cui per esempio descriveva sul Foglio, «il cappio europeo che va stringendosi attorno al collo dell'Italia».

La soluzione la indica lo stesso Savona nel suo libro-autobiografia: «Battere i pugni sul tavolo non serve a niente.

Bisogna preparare un piano B per uscire dall'euro se fossimo costretti, volenti o nolenti, a farlo». L'indimenticato Yanis Varoufakis, ministro greco delle Finanze nel primo governo Tsipras, non avrebbe potuto dirlo meglio. Per il terrore di Mattarella e la gioia di qualche speculatore sui titoli di Stato.

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