Pubblichiamo uno stralcio del libro di Yonathan Netanyahu intitolato «Lettere», in cui il fratello dell'attuale premier israeliano racconta il momento vissuto dallo Stato d'Israele nel 1973, subito dopo la guerra della Yom Kippur. Le analogie con il momento attuale sono tantissime, dall'unità del Paese dopo l'attacco alla forza nella reazione, al ruolo dell'esercito fino alle polemiche interne da gestire per il futuro.
Cari mamma e papà,
questa è la mia prima lettera dopo la fine dei combattimenti. Nessuno qui parla ancora della fine di questa guerra, e neppure della prossima, soltanto della continuazione di questa (se dovesse ricominciare, ovviamente). L'umore qui è ancora quello di una nazione in guerra. Tutti i nostri riservisti sono ancora mobilitati e l'effetto sull'economia è molto evidente. È facile notare questo per le strade delle città dove si vedono molte donne, bambini e anziani ma pochissimi uomini. Che succederà adesso? Ho un'idea chiara su cosa si dovrebbe fare ma non sono sicuro che l'attuale governo abbia le idee chiare su dove stiamo andando. La guerra ha finalmente generato un cambio di mentalità in una grossa fetta della popolazione, e questa trasformazione è un bene. Quanto sia ampia questa trasformazione è difficile dire, ma lo sapremo presto. Le elezioni sono a dicembre.
In ogni caso, vedo con dolore e con grande rabbia come una parte della popolazione resta ancora aggrappata alla speranza di raggiungere un accordo pacifico con gli arabi.
Il buon senso dice anche a loro che gli arabi non hanno abbandonato la loro mira di distruggere Israele; ma la tendenza ad auto-illudersi e a ingannarsi che ha da sempre contagiato gli ebrei è di nuovo a lavoro. È la nostra grande sfortuna. Vogliono credere, e allora credono. Non vogliono vedere, e allora chiudono gli occhi. Non vogliono imparare da millenni di storia, e allora la alterano. Vogliono portare a compimento un sacrificio, e lo fanno davvero. Sarebbe comico, se non fosse così tragico. Come è deprimente e irritante questo popolo ebraico!
Eppure, quanto forte e quanto grande diventa la nazione nei momenti di crisi. Non puoi immaginare come le dita si stringano in un pugno di ferro quando la minaccia di giorni violenti si avvicina. L'intero popolo, dai giovani soldati ai medici, agli avvocati, agli impiegati, agli operai, tutti si trasformano in carristi e fanteria, in piloti d'aereo e marinai.
Non sono riservisti venuti da «un altro mondo» ma parte integrante di un esercito forte e unito. Incredibile come siamo riusciti a fare questo, rendere un intero popolo un esercito.
Questa è stata senza dubbio la guerra più dura che abbiamo conosciuto. Perlomeno è stata più intensa, più spaventosa (non per me ma per quelli con meno esperienza), quella che ci è costata di più per morti e feriti, quella più segnata da successi e fallimenti, di ogni altra guerra o battaglia che io abbia visto. Ma è proprio per via di questi iniziali errori grossolani (di cui non vi parlerò adesso, intendo i fallimenti nelle valutazioni militari, nell'interpretazione dei dati dell'intelligence, nella dottrina militare, nelle valutazioni politiche e, ovviamente, nella noncuranza dell'intera nazione che la vittoria raggiunta è stata così grande.
L'esercito è forte e sano ed ha provato la sua abilità al di là ci ogni dubbio. E, di nuovo, quando dico «l'esercito» non intendo soltanto le forze regolari ma l'intero popolo. L'esercito regolare è riuscito, con gravi costi, a bloccare il nemico.
Ma è stato il popolo a vincere la guerra.
Una cosa davvero pietosa è che adesso stanno cominciando «Le guerre degli ebrei» (quelle tra di noi) anche prima che i combattimenti al fronte siano terminati, mentre l'intera nazione si trova ancora ai confini. «Le guerre degli ebrei» sono sempre le più brutte e le più dure di tutte.
Queste sono guerre fatte di battibecchi futili e polemici, di soppressione o distorsione dei fatti, di procrastinazione nel prendere decisioni.
Non si deve procedere a tentoni e neppure per meri espedienti tattici, perché questo non ci porterà da nessuna parte. Se non abbiamo un ben definito e realistico obiettivo, non dovremo combattere gli arabi per la nostra sopravvivenza. Gli arabi non avranno bisogno di combattere. Gli ebrei, come al solito, distruggeranno loro stessi.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.