Libia, ora sono tutti d'accordo: "Aveva ragione Berlusconi"

Cinque anni fa ridevano. Ma adesso che il Paese è diventato una polveriera piena di profughi e terroristi i Grandi ammettono: «Che errore non ascoltare il Cavaliere»

Libia, ora sono tutti d'accordo: "Aveva ragione Berlusconi"

Le sghignazzate di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, le «iene ridens» sfacciatamente pronte - nell'ottobre 2011 - a farsi beffe di un Silvio Berlusconi messo all'angolo dall'Europa non le dimentica nessuno. Quattro anni e mezzo dopo quelle sghignazzate hanno, però, un sapore assai più amaro. Soprattutto per chi allora era convinto di possedere la verità e si ritrova oggi a gestire le conseguenze dei propri errori. Prendiamo la Cancelliera «ridens». Oggi, dopo aver inforcato una cantonata dopo l'altra sul fronte immigrazione, si ritrova costretta ad ammettere che l'unico a vederci lungo su questioni come la Libia, diventata nel frattempo il vero rebus della politica di sicurezza europea, era il tanto vituperato Silvio Berlusconi. La sorprendente ammissione, intercettata e subito rivelata da Renato Brunetta, arriva durante il summit del Partito Popolare di due giorni fa a Bruxelles. In quell'occasione, come ricorda il presidente dei deputati di Forza Italia, la Merkel elogia esplicitamente Berlusconi lodando «la sua azione di raccordo con Gheddafi che di fatto permetteva, negli anni pre-2011, di gestire la difficile situazione libica». Le lacrime di coccodrillo spese in memoria di Berlusconi non sono un'esclusiva della Cancelliera. Una settimana fa anche Barack Obama ha riconosciuto indirettamente gli errori commessi in Libia nel 2011 quando la Nato lanciò, rifiutandosi d'ascoltare il parere di Berlusconi, la campagna di bombardamenti culminata con l'uccisione di Muhammar Gheddafi. Una campagna fomentata da due alleati come il presidente francese Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron che Obama non esita a definire «alleati parassiti ed interessati» nell'intervista uscita la settimana scorsa su «The Atlantic». L'attacco di Obama agli alleati francesi ed inglesi chiarisce indirettamente come la campagna libica lanciata dall'Alleanza Atlantica nel 2011 non sia stata condotta per difendere una fantomatica rivoluzione, ma semplicemente per mettere le mani sulle fortune libiche e cancellare i rapporti privilegiati intessuti da Silvio Berlusconi. Anche Obama, insomma, sembra sospettare che Cameron e Sarkozy abbiano approfittato dell'isolamento di Berlusconi per tentar di scippare le commesse dell'Eni e trasferirle alla Total e alla Bp, ovvero alle rispettive compagnie petrolifere di bandiera. Ed abbiano nascosto il tutto sotto la maschera di un intervento indispensabile per difendere la popolazione civile dalla rabbia del dittatore. Peccato che quel tentativo abbia portato al caos il Paese trasformandolo nella nuova frontiera dello Stato Islamico e in un immenso serbatoio di profughi. La prima a difendere le posizioni berlusconiane sulla Libia era stata l'ex segretario di Stato Hillary Clinton. Nel suo libro «Hard Choices» («Scelte Difficili») uscito nel 2014 ricorda la furia con cui Berlusconi contrasta, durante al il vertice di Parigi del 2011, l'interventismo francese in Libia minacciando di negare alla Nato l'utilizzo delle basi sul suolo italiano. «Berlusconi sentiva che in prima linea ci dovesse essere l'Italia e non la Francia, anche per la sua posizione strategica nel Mediterraneo» scrive la Clinton ammettendo, subito dopo, che sarebbe stato più saggio dargli ascolto.

«A parte l'ego ferito - scrive Hillary Clinton - Berlusconi e altri avevano buone ragioni per essere preoccupati: senza una linea di comando e controllo chiara, tutto può sfociare in una confusione pericolosa». Cinque anni dopo nessuno sa ancora come porre rimedio.

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