Dalla Francia, maître-à-penser d'Europa dall'illuminismo, ritorna lo stimolo alla decrescita in salsa climatica. Ma stavolta sono fuori strada.
Gli incendi stanno devastando l'Europa e la Francia. Così la stampa d'oltralpe di oggi titola e scrive sul cambiamento climatico. Quanto ogni incendio sia di matrice climatica andrà accertato, ma resta il fatto che le foto rosso-arancio esprimono plasticamente il senso del riscaldamento. I francesi, si sa, non sono popolo che se ne sta buono. Davanti al problema sono per l'azione e anche veloce. Dalla prima pagina di Le Monde, la climatologa Valérie Masson-Delmotte, del GIEC (Gruppo di esperti intergovernativo sull'evoluzione del clima, ndr), mette in guardia contro la lentezza dei nostri cambiamenti davanti a un clima che muta al galoppo. Riporta anche che quattro francesi su cinque, interrogati dall'OCSE, si dicono convinti dell'importanza di agire in fretta.
Questo è il primo abbaglio. Dispiace per i cugini, ma stavolta pur se il problema ce l'hanno in Francia la soluzione sta fuori dalla Francia. Loro hanno fatto per decenni molto per ridurre le emissioni clima-alteranti, anche più degli altri Paesi europei, ad esempio puntando sul nucleare, quello classico senza incidenti di alcun tipo. Le emissioni di gas serra aumentano perché grandi popolazioni, Cina e India su tutte, tendono a vivere non come noi ma appena dignitosamente. Nell'ultimo quarto di secolo, mentre la CO2 aumentava del 50%, circa un miliardo di persone usciva dalla povertà assoluta. C'è possibilità che adesso la crescita delle emissioni rallenti o si arresti? Difficile. La popolazione mondiale è in crescita. A novembre toccheremo gli 8 miliardi e nel 2050 avremo il picco a 10 miliardi. Quindi non c'è nulla da fare? Per il contenimento delle emissioni, il boccino sta in mani altrui, verso cui possiamo esercitare una moral suasion, anche se i rapporti geo-politici ed economici si stanno raffreddando, come s'è visto a Glasgow, dove alcuni manco si sono presentati, e con la guerra ancora di più. C'è invece molto da fare, ognuno in casa propria, per contrastare non il clima ma i suoi effetti. Noi in Italia abbiamo scoperto ad esempio che abbiamo ampi spazi per ridurre l'impatto delle future siccità: sistemazione degli acquedotti, costruzione di invasi, utilizzo delle acque reflue. S'illude chi pensa di evitare la siccità fermando le macchine. Come alcuni giornali francesi che salutano positivamente il caro-carburanti, come deterrente per l'uso delle auto. Suggeriscono che vivere spostandosi meno non sarebbe una privazione o un arretramento, ma solo un diverso modo di intendere la vita. Forte e chiara l'eco della decrescita verso una società più sobria e frugale.
Nell'idea del filosofo ispiratore Serge Latouche (nella foto), francese, c'è la creazione di una società eco-socialista, fondata su valori ecologici, umani e sociali. Una sfida al capitalismo fondato sull'egoismo di Adam Smith e che va poi mitigato e bilanciato da un sistema di pesi e contrappesi. Alternativa affascinante ma partorita in epoca pre-Covid, quando eravamo convinti di avere ormai tutto il necessario per vivere bene: antibiotici e microchirurgia, pay-TV e bici a pedalata assistita, smartphone e wi-fi per navigare. Perché fare ancora meglio e volere sempre di più? Potevamo fermarci lì, puntando a vivere in pace, senza sbatterci troppo, che è la segreta ambizione dei nati-ricchi. Dopotutto, è il mercato a creare i bisogni per i quali poi tocca sudare.
Ma poi è arrivato il Covid. Non l'ha mandato il mercato, eppure il bisogno di un vaccino è sorto comunque: quale sarebbe stata la molla capace di darcelo in 9 mesi? Perché senza, non è che sarebbero vissuti proprio tutti.
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