L'indotto mette in mora Arcelor: vanta un credito di 50 milioni di euro

Prime azioni legali per forniture e prestazioni non pagate

L'indotto mette in mora Arcelor: vanta un credito di 50 milioni di euro

Taranto Il timore è che sia solo l'inizio di una crisi irreversibile, il rischio è un drammatico effetto domino. Che potrebbe fare piazza pulita di piccole e grandi realtà industriali contribuendo alla desertificazione socio-economica del territorio. Perché il caso ArcelorMittal, che ha annunciato il disimpegno da Taranto dopo la cancellazione dello scudo penale nel decreto salva imprese targato M5s, si è già abbattuto sull'indotto innescando una grave carenza di liquidità e prosciugando le casse di aziende che vanno avanti gravitando attorno a quello che un tempo era un colosso dell'acciaio.

Adesso invece, in seguito alla decisione della multinazionale di lasciare la Puglia, le ditte temono seriamente per un credito di 50 milioni già fatturati e non incassati per prestazioni e forniture, con uno scaduto che sarebbe pari a cinque milioni. Una situazione difficile, che con il passare delle ore assume contorni drammatici. Al punto che alcune imprese spiega il presidente di Confindustria Taranto, Antonio Marinaro, a margine di un incontro con le aziende locali dell'indotto dello stabilimento siderurgico «si avviano anche a delle forme di tutela legale» con riferimento a fatture per prestazioni e forniture scadute e non ancora pagate. In ballo c'è la sopravvivenza stessa delle imprese, molte delle quali si trovano in difficoltà anche nel pagamento degli operai. Complessivamente sarebbero circa duecento quelle coinvolte in un dramma che ormai si trascina da diverso tempo. «L'indotto non ha percepito da mesi il pagamento delle fatture», sottolinea Marinaro. Il quale non usa mezzi termini e dice chiaro e tondo che «il momento è di una gravità unica». Uno scenario confermato dalla decisione di un'azienda dell'appalto, ricorsa alla cassa integrazione per 50 lavoratori.

Del resto ormai la grande acciaieria di un tempo viaggia al minimo e ha imboccato una strada che di questo passo spiegano i sindacati è destinata a portare allo stop della produzione. Nello stesso tempo, nelle ultime settimane è stata avviata una pesante ristrutturazione dell'indotto con una sforbiciata drastica dei costi. Il risultato è una crisi nella crisi, uno scenario a tinte fosche che rischia di aggravarsi ulteriormente. In ballo c'è la sorte di piccole e medie aziende sorte all'ombra di quella che un tempo era l'Ilva: si va dal settore delle manutenzioni a quello dei servizi, dalle mense ai trasporti e alle pulizie.

Intanto, nello stabilimento ArcelorMittal è tornata la calma dopo i momenti di grande tensione di venerdì sera, quando in fabbrica è giunto il premier Giuseppe Conte, che potrebbe incontrare i vertici dell'azienda domani. Ma è una calma apparente, che riflette piuttosto preoccupazione e scetticismo.

Ieri a Taranto è arrivato il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani (nel tondo), che a margine di un incontro con i sindacati ha sottolineato la necessità di impedire la fuga dell'azienda affidandosi a un interlocutore serio e competente. «L'acciaio spiega l'ex presidente del Parlamento Ue deve essere gestito da chi conosce la materia».

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