L'irresistibile vizio di celebrare le sconfitte

Fin dalla Seconda guerra mondiale siamo abituati a comportarci da trionfatori anche nei peggiori disastri. Ma un lutto merita solo silenzio

L'irresistibile vizio di celebrare le sconfitte

Siamo tutti contenti, ci mancherebbe. Un ciclopico lavoro d'alta ingegneria ha consentito di portare a Genova, per la demolizione, una stupenda nave da crociera ridotta, nelle circostanze che tutti conosciamo, a un gigantesco rottame. Un trionfo dell'umano talento applicato tuttavia non a creare nuovi congegni e prodotti ma a rendere possibile un funerale. La Costa Concordia, che a Genova era nata, a Genova è stata riportata non per risorgere ma per essere consegnata ai demolitori.

Nella sventura questo epilogo è tutto sommato il meglio che ci si potesse augurare. Un addio senza ripercussioni nocive per l'ambiente e senza accresciuti problemi per un'Italia già abbastanza ferita da tanti altri naufragi. Aggiungo un altro breve cenno, forse consolatorio e forse no. La Concordia non ha fatto la fine del Titanic, inabissatosi con il suo capitano. No, le perdite umane sono state gravi ma la Concordia è rimasta a galla - sia pure con la triste qualifica marinara di relitto - e il suo capitano, vivo e vegeto, dà un festoso apporto alla mondanità. Siamo dunque alla cronaca d'un evento tecnicamente prestigioso e d'una fine, ma non d'un lieto fine.

L'ha detto anche Matteo Renzi, del quale sono propenso a giustificare la presenza, data l'importanza dell'evento. Non giustifico invece l'assembramento d'alte autorità per accogliere ciò che malinconicamente resta d'una ammiraglia. Lì in massa i ministri, i governatori regionali, i portaparola, i portaborse. Poiché suggella un lutto, la cerimonia - che mi pare sia stata allestita sulla falsariga dei tagli di nastri ufficiali - avrebbe dovuto essere silenziosa e triste. Se non senza discorsi, almeno senza qualche discorso o commento quasi epico. La Costa Concordia è purtroppo la testimonianza d'una sconfitta. Non addebitabile alla collettività - per nulla responsabile - ma senza dubbio addebitabile ad alcune gravi incapacità individuali.

Dovevamo e dobbiamo guardarci bene - lo scrive uno che ha visto altre e ben più gravi sconfitte - dal voler trasformare un disastro in un successo. Ne abbiamo l'abitudine, purtroppo. Vinti in modo umiliante nella seconda guerra mondiale ci comportiamo, almeno nella retorica piazzaiola, da vincitori. Onore agli uomini straordinari che hanno riportato a Genova la Concordia. Ma con, in sottofondo, le note tristi del silenzio militare, non dell'esultate. Ho ricordato, con sfavore, l'eccessivo affollamento a Genova di governanti. Che tuttavia non sarà stato inutile se Renzi e i suoi ministri terranno conto della lezione che il viaggio della Concordia ha dato a loro e all'Italia. Un Paese ubriacato dalle interminabili trasmissioni di Palazzo Madama e infuriato per il vaniloquio di chi sta sugli scranni di Palazzo Madama ha visto, dopo l'abbuffata di chiacchiere, un trionfo di bravissimi ingegneri, di tecnici, di sommozzatori, d'esperti di calcoli difficilissimi.

L'Italia s'è trovata di fronte a una sua immagine completamente diversa da quella parlamentare.

Spero, anzi credo, che gli italiani utilizzati nell'impresa Concordia siano stati pagati bene e lo siano in futuro. Lo meritano sacrosantamente. Ma non mi faccio illusioni e non se le facciano nemmeno loro. Mai raggiungeranno - salvo miracoli - le buste paga d'un commesso di Montecitorio o di Palazzo Madama.

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