Lisbona paga per salvare gli obbligazionisti

Esborso dello Stato di 1,7 miliardi: gli azionisti subordinati non perderanno tutto

Lisbona paga per salvare gli obbligazionisti

Sorpresa di Natale: lo Stato aiuta e salva una banca. Con 1,7 miliardi di euro. E salvi, anche se non del tutto, sono soci e obbligazionisti subordinati. Peccato però che il regalo natalizio non sia caduto dai nostri cieli, ma in quel del Portogallo. Il governo di Lisbona, come quello di Roma ma un mese dopo, ha ieri mandato in «risoluzione» una sua banca, Banif. Ma ha utilizzato un modello diverso: per lo Stato ci sarà un esborso di 1,77 miliardi, oltre a 489 milioni forniti dal sistema bancario. Inoltre, come ha verificato l'agenzia Ansa, gli obbligazionisti subordinati subiranno pesanti perdite ma non saranno azzerati. La banca, come deciso dall'istituto centrale di Lisbona, dal governo e approvato dalla Commissione Ue, verrà divisa in tre: la good bank sarà ceduta agli spagnoli di Santander per 150 milioni, la bad bank con i crediti deteriorati sarà un veicolo societario a parte mentre la «vecchia» Banif - che comprenderà alcuni attivi, il capitale svalutato e il famigerato debito subordinato - resterà in piedi fino alla sua liquidazione. Obbligazionisti e azionisti non saranno così azzerati, ma potranno ricavare qualcosa dalla cessione degli asset. Ed è questo il punto fondamentale che rende il salvataggio portoghese diverso e accende il sospetto che anche quello italiano potesse essere fatto con modalità differenti. In altri termini il governo di Lisbona non ha liquidato la banca, come avvenuto invece in Italia il 23 novembre scorso per 4 istituti di credito. Non ha dunque causato l'azzeramento del capitale per scelta «politica» (cioè per decreto), bensì ha lasciato al mercato la «responsabilità» di definire col tempo quanto varranno le azioni dei soci e i bond subordinati. Se varranno zero anch'essi (cioè se gli asset non saranno venduti) non sarà colpa del governo. Da noi, invece, la scelta è stata quella di liquidare le vecchie banche, caricandole solo delle perdite, essendo queste superiori alla somma di capitale e debito subordinato. Mentre dalle ceneri di Banca Marche, PopEtruria, CariChieti e CariFerrara, lo stesso decreto ha fatto nascere per ciascuna due soli istituti (la bad bank e le nuove banche) e non tre. La beffa sembra completa se si calcola che l'intervento è stato possibile anche grazie ai soldi pubblici. Il che sembra essere stato possibile per due ragioni: la prima è che il 60% di Banif è dello Stato (mentre le banche italiane fallite erano private); la seconda è che questo intervento segue altre iniezioni di risorse pubbliche, erogate nel 2013 e quindi prima dell'avvento della vigilanza unica Bce. Una serie di motivazioni che peraltro l'Abi, guidata da Antonio Patuelli, ha già avuto modo di ritenere paradosalli.

Non a caso il dg dell'associazione dei banchieri, Giovanni Sabatini, ha ieri parlato di «comportamenti non omogenei tra i diversi Paesi: chiediamo di capire quali sono le differenze» perché «in altri casi ci sono stati degli interventi con aiuti pubblici autorizzati dalla commissione Ue Europea» e a tal proposito ha citato il Portogallo.Ora più mai resta l'impressione, al di là delle nuove e complesse norme bancarie e dell'intervento più o meno legittimo dello Stato, che il governo italiano potesse muoversi in maniera diversa. E migliore.

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