La serie positiva di dati macroeconomici non si arresta, ma pone l'esecutivo Draghi dinanzi all'obbligo di compiere scelte non più rinviabili pena la perdita di un'occasione difficilmente ripetibile. È il caso dei dati sul mercato del lavoro. A dicembre il tasso di disoccupazione è sceso al 9% nel complesso (-0,1 punti su novembre) e al 26,8% tra i giovani 15-24 anni (-0,7 punti). Il tasso di disoccupazione nello stesso mese si è attestato al 5,1% in Germania e al 7% (minimo storico) nell'area euro. Stabile il numero degli occupati che sono 540mila in più rispetto a dicembre 2020. Sostanzialmente si è recuperato il livello pre-pandemia ma vi sono alcune differenze che non possono non essere sottolineate e sulle quali il governo dovrà lavorare.
In primo luogo, il numero totale degli occupati, a fronte di un tasso di occupazione del 59% che è sui livelli massimi. È calato di 286mila unità rispetto a due anni fa perché la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) è diminuita di 492mila unità, come osservato dal presidente di Fondazione Adapt, Francesco Seghezzi. In un simile contesto spicca la crescita delle donne occupate (50,5% massimo storico e +377mila in un anno). In secondo luogo, occorre osservare il perdurante incremento dei contratti a termine (+59mila a dicembre) e la ripresa della scomparsa degli autonomi (-51mila). «La perdita di 320mila occupati tra gli indipendenti dall'inizio della pandemia mette in serio pericolo le prospettive di ritornare a breve sui livelli occupazionali complessivi di inizio 2020», ha commentato l'Ufficio studi di Confcommercio, preoccupato anche che l'inflazione possa minare la ripresa in corso, frenando assieme al Pil anche la creazione di posti di lavoro e, di conseguenza, i consumi.
Questo trend, di sicuro, non sarà sottovalutato dal governo, tanto più che il premier Mario Draghi ha spesso evidenziato come il mercato del lavoro sia «ingiusto» soprattutto nei confronti dei più giovani. Un'inquietudine o, leggendolo in altra prospettiva, un fermento evidenziato anche da un altro tipo di statistiche, quelle relative alle dimissioni. Se Francesco Armillei su La Voce aveva aperto il dibattito a ottobre evidenziando che nel 2021 il 18,7% dei rapporti di lavoro si era chiuso con le dimissioni del dipendente, ieri un rapporto Prometeia-Legacoop ha evidenziato che nei primi nove mesi del 2021 sono aumentate del 31,6% a oltre 1,3 milioni. È ancora presto per interpretare compiutamente il fenomeno, ma pare che, soprattutto tra i giovani (ma anche tra i più esperti), si lasci un contratto a termine non appena si prospetta un impiego migliore. Un movimento fotografato anche dai dati Istat.
Ed è qui che dovrà entrare in gioco Draghi non solo perché nella legge di Bilancio ha modificato il reddito di cittadinanza legandolo all'attivazione dei percettori verso una ricerca di occupazione, verso la formazione e coinvolgendo le agenzie per il lavoro. In questo campo entra in gioco la Gol prevista dal Pnrr (finanziata per 4,4 miliardi da Next Generation Eu e per 500 milioni dal piano React Eu). Il problema è che le Regioni non hanno ancora potenziato i loro organici, anche se ieri il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha dato un primo segnale firmando il decreto che rifinanzia per 600 milioni il Fondo Nuove competenze che coinvolgerà 300mila lavoratori e 7.
500 aziende in corsi di riqualificazione funzionali alla ricerca di un nuovo posto. Dall'altro lato, l'esecutivo dovrà rimodulare il confronto sulla riforma delle pensioni senza trascurare che l'invecchiamento demografico è una questione fondamentale.
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