Eroe. Parola omerica, cinematografica, buona per i titoli di giornale, così breve e epigrafica. Ma che ne sappiamo noi che stiamo tamburellando sulla tastiera di un pc di che cosa passa per la testa di un uomo che si trova seduto al posto del passeggero di un tir lanciato a tutta velocità contro la folla di un mercato? Provare a fermare chi è al volante forse non è eroismo, forse è solo un'opzione come un'altra, un modo per rifiutare le avance di quella poco di buono della morte che sta flirtando con te.
Quell'uomo però non è un'ipotesi. È un uomo in centoventi chili di carne e ossa. È (anzi: era) Lukasz Urban, autista del tir Scania r450, partito dalla Polonia, arrivato in Italia per caricare tonnellate di acciaio da portare a Berlino e poi destinato a tornare in Polonia per festeggiare il Natale con la moglie e il figlio diciassettenne. Un Geppetto dentro la sua balena che sulla sua strada a un certo punto, lunedì pomeriggio, probabilmente nel parcheggio alla periferia di Berlino in cui Lukasz aveva fermato il suo bestione in attesa della consegna di martedì mattina (perché quei crucchi pignoli della ThyssenKrupp non avevano voluto il suo carico con un giorno di anticipo), ha incontrato Anis Amri, l'uomo che ha mischiato le carte della vita e della morte, scoprendo la seconda al posto della prima.
Adesso pare chiaro: Lukasz era ancora vivo quando il jihadista che voleva usare il suo tir come un'arma di distruzione di massa, dopo aver girato a lungo per Berlino per prendere dimestichezza con quell'affare con un motore gigantesco che non aveva mai portato, si è diretto contro bersagli umani. Non sappiamo che cosa sia accaduto in quelle ore, presumibilmente l'attentatore teneva Lukasz sotto la minaccia delle armi, forse non sapeva cosa farsene di quell'uomo corpulento e arrabbiato, forse gli serviva nel caso in cui ci fosse stato qualche problema con lo Scania. Di certo secondo la Bild Urban, sul cui corpo sono state trovate ferite da arma da taglio, ha seguito vigile lo svolgersi della vicenda, dal momento in cui Amri gli ha rubato il tir e lo ha costretto a salire con lui nella cabina per l'ultimo breve tragico viaggio, la consegna della morte a destinatari ignori fino alla fine di tutto. E quando ha capito cosa c'era scritto nell'ultimo capitolo ha lottato come un leone per riscriverlo. Forse ha provato con il peso del suo corpo a spostare il volante, a deviare la traiettoria del tir, costringendo il terrorista a ucciderlo con tre colpi di pistola. Forse è proprio grazie alla lotta di Urban se il tir ha fatto solo un pezzo del suo tragitto ferale, fermando il contatore dei morti a dodici. Che pochi non sono, ma sono pur sempre qualche litro di lacrime in meno dei quindici, dei venti, dei trenta che sarebbero potuti essere.
Lukasz Urban, eroe o non eroe, è morto. Ha preso il primo biglietto dalla macchinetta che sputa i numerini per la fila. Lui non aveva premuto quel pulsante, ma pure non ha potuto rifiutarsi.
La Polonia è in lutto, l'impronunciabile ministro degli Esteri Witold Waszczykowski manda un tweet al resto del mondo: «Ehi, abbiamo anche noi i nostri morti nella guerra contro Daesh».Felice il mondo che ha bisogno di camionisti sorridenti, sventurato quello che ha bisogno di trasformarli in eroi.
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