Lula fuori dai giochi: stop alle presidenziali

Cassata dal Tribunale Supremo elettorale la candidatura annunciata a inizio agosto

Lula fuori dai giochi: stop alle presidenziali

Goodbye Lula, che non è ancora un Goodbye Lenin ma per i nostalgici è come se lo fosse. L'ex presidente del Brasile in carcere da 5 mesi perché condannato a 12 anni per corruzione e riciclaggio e questo è solo il primo di 7 processi che lo vedono imputato per reati ben più gravi, a cominciare dall'associazione a delinquere - non potrà infatti candidarsi alle presidenziali che decideranno a ottobre chi governerà il Brasile dal primo gennaio 2019 al 31 dicembre 2022. A stabilirlo, ieri e per 6 voti contrari e appena uno a favore a Lula, il Tribunale Supremo Elettorale (TSE), dopo oltre 10 ore di estenuanti discussioni. Una iattura per le prospettive della sinistra latino-americana che, infatti, per bocca del presidente boliviano Evo Morales, ieri ha definito la decisione «un attentato alla democrazia».

La candidatura annunciata a inizio agosto durante il congresso del Pt, il partito dei lavoratori fondato dallo stesso Lula, e depositata a Ferragosto, nell'ultimo giorno utile, è stata così cassata ufficialmente all'alba di un torrido (31 gradi) sabato invernale, anche se i tanti avvocati di Lula potranno ancora ricorrere e lo faranno di certo sia al Supremo Tribunale di Giustizia (Stj) sia al Supremo Tribunale Federale (Stf), la corte suprema che nel 2009 decise di non estradare in Italia l'ex terrorista Cesare Battisti.

Vale la pena ricordare qui che l'Onu, con il suo Comitato per i Diritti Umani, il 17 agosto aveva emesso un comunicato in cui chiedeva al Brasile di consentire la candidatura di Lula fino all'esaurimento dei ricorsi dei suoi avvocati - che per la cronaca sono già stati una cinquantina dal 2016 a oggi ma che tale comunicato non è vincolante e, soprattutto, non entra nel merito della legislazione elettorale brasiliana. Regolata dalla cosiddetta «lei da Ficha Limpa», della «Fedina Pulita» in italiano, che impedisce a qualsiasi condannato in secondo grado come è il caso di Lula di candidarsi.

Nell'imporre il suo Goodbye Lula, il Tse ha anche proibito qualsiasi spot elettorale in tv, radio ed Internet con l'ex presidente, fissando come limite massimo il 10 settembre affinché il Pt sostituisca il carcerato più celebre del paese del samba con un altro candidato, probabilmente l'ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad.

Non è però affatto certo che andrà così per almeno due motivi. In primis perché dagli ultimi sondaggi quest'ultimo è accreditato di appena un 4% dei suffragi, distante anni luce dalla possibilità che il 7 ottobre quando ci sarà il primo turno riesca a centrare l'inevitabile ballottaggio. Meglio, insomma, continuare a lagnarsi della scontata decisione del Tse, da un lato gridando alla persecuzione politica, dall'altro appoggiando il solo candidato di sinistra, nordestino e con qualche chance di conquistare la presidenza - ovvero quel Ciro Gomes che anche ieri ha ribadito di essere «scioccato dalla mancata partecipazione al voto di Lula», esprimendogli solidarietà e non escludendo in caso di vittoria una probabile amnistia della sua condanna.

Inoltre, contro il candidato della destra che tutti i sondaggi danno come favorito per accedere all'inevitabile ballottaggio del prossimo 28 ottobre, ovvero quel Jair Bolsonaro che alcuni analisti definiscono come «un Trump che non capisce nulla di economia», Lula potrebbe decidere di puntare proprio su Ciro Gomes piuttosto che sul debolissimo Haddad. Staremo a vedere ma, di sicuro, chi decide ancora tutto in Brasile - a sinistra ma non solo - è l'inquilino della cella più lussuosa di Curitiba, quel Luis Inácio da Silva noto ai più come Lula.

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