L'ultima volta di Draghi tra accuse e "mancette"

Bacchettate a Meloni e Salvini: "Noi siamo per lo Stato di diritto, altri non so. E c'è chi parla coi russi"

L'ultima volta di Draghi tra accuse e "mancette"

Il sipario sta andando giù e sul volto di Mario Draghi si legge un segno di serenità, come un sorriso. Toccherà ad altri. Quando gli dicono se pensa di tornare la sua risposta è un no secco. Non ci sarà un secondo mandato. Non è neppure candidato. «Ho fiducia negli italiani. È importante che tutti votino». Quello che poteva fare lo ha fatto. È convinto di lasciare l'Italia in una situazione non drammatica e con la possibilità per chi verrà dopo di non partire da zero. Il consiglio dei ministri di ieri ha messo in campo risorse per fronteggiare l'aumento dei costi energetici. Ci sono altri 14 miliardi e si aggiungono agli aiuti uno e due per un totale di 65 miliardi di euro. Draghi dice che questa somma vale più di uno scostamento di bilancio, ma senza fare nuovo debito. È di fatto una risposta a Salvini. Non sarà l'unica. La sorpresa è la «mancia» finale. Si racconta che sia stato proprio il capo del governo a volere il contributo una tantum di 150 euro per chi ha un reddito inferiore ai 20mila euro l'anno. Arriverà a novembre. È un modo per restituire, almeno per un mese, il costo dell'inflazione. Non ti cambia la vita, ma per un attimo non fa pesare l'aumento dei prezzi. A beneficiarne saranno 22 milioni di italiani. È come un carezza, per lasciare un ultimo buon ricordo. Non sa invece se riuscirà a portare a termine una riforma che considera necessaria, la delega fiscale. I tempi dipendono dal Parlamento.

Quello che pensa di questa avventura lo ha detto ieri in conferenza stampa, dove ha distribuito un po' di veleno. Ricorda che non è stato lui a invitarsi a Palazzo Chigi. «Mi sono calato dall'alto, mi hanno catapultato». Il suo governo è nato dall'emergenza e da una richiesta diffusa. Non tutto è andato come sperava. Il suo sogno era, e resta, andare al Quirinale. Non ci è riuscito. È ancora il tempo di Mattarella. Ha ringraziato i suoi ministri. «Starebbero bene in qualsiasi esecutivo del futuro». Poi si toglie qualche sassolino dalle scarpe. Il più visibile arriva sulle ingerenze russe nella politica italiana. Non teme conseguenze drammatiche e assicura che nelle liste statunitensi non c'è traccia di italiani. «La nostra democrazia è forte, non è che si fa abbattere da nemici esterni, dai loro pupazzi prezzolati». Poi però, incalzato dai giornalisti che gli chiedono di Salvini, si lascia scappare un j'accuse. «C'è chi parla di nascosto con i russi, chi vuole togliere le sanzioni. C'è pure lui in questa campagna elettorale». Il leader della Lega si ritrova così come convitato di pietra. Replica: «I fondi russi non ci sono. Aspetto scuse». Draghi non lo nomina mai direttamente, ma pure questo finale di partita li ha visti fronteggiarsi a distanza. Draghi ha voluto varare il decreto che predispone la mappatura di tutte le concessioni balneari. È lo stesso strumento usato per il catasto e l'obiettivo a medio termine è in tutti e due i casi rivalutare quanto bisogna pagare. La Lega ha sempre detto che non è il caso di metterci le mani adesso. I suoi ministri, con Garavaglia in testa, si sono inalberati e non hanno votato il provvedimento. Lo considerano un atto ostile verso l'elettorato leghista. Chi invece ha votato a favore sono stati i ministri un tempo in quota Forza Italia, ormai fuori dal partito. È l'atto di fedeltà a un governo in dismissione.

L'addio di Draghi lascia un vuoto politico, che tutti sottolineano e si rinfacciano. Il Pd fa notare a Calenda e Renzi che ora non hanno più un punto di riferimento. Conte gongola e rinfaccia a Letta di aver perso la sua agenda. «Adesso precipiteranno nello sconforto tutti coloro i quali hanno come unico programma l'agenda Draghi». Il presidente del consiglio è stanco di chi lo tira a destra e manca. A chi gli chiede di Giorgia Meloni risponde: «Ho parlato con tutti i capi di partito, ma la ringrazio per come è stata all'opposizione». C'è tempo anche per parlare di Orban, il premier ungherese.

«Noi abbiamo una certa visione dell'Europa, difendiamo lo stato di diritto, siamo alleati con Germania e Francia. Cosa farà il prossimo governo non lo so. Ma mi chiedo, uno come se li sceglie i partner? Chi conta di più? Datevi voi le risposte».

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