L' ultimo soldato americano ha lasciato l'Afghanistan. Non un fantaccino qualunque ma il generale a due stelle, Chris Donahue, comandante dell'82° divisione aviotrasportata che ha tenuto l'aeroporto di Kabul per l'evacuazione più possente e drammatica del mondo libero. La foto verdognola, da visione notturna, rende l'immagine simbolo ancora più drammatica. Il generale con elmetto, mimetica e arma in pugno è in mezzo alla pista e sta salendo a bordo dell'ultimo aereo americano che decolla da Kabul un minuto prima di mezzanotte e del 31 agosto.
La foto storica ricorda un'altra disfatta: il ritiro dell'Armata rossa nel 1989 e il generale Boris Gromov, che per ultimo passava a piedi il ponte dell' amicizia sull'Amu Darja al confine con la repubblica uzbeka dell'Urss, dopo interminabili colonne di blindati. I sovietici se ne andavano, sconfitti, dopo 10 anni e 40mila caduti. L'Afghanistan, dopo avere ingoiato nel sangue l'Inghilterra, l'Urss e la Nato, si è dimostrato, ancora una volta, la tomba degli imperi. Il generale Donahue lascia per sempre l'Afghanistan dopo 20 anni di intervento concluso con la fulminea vittoria dei talebani. L'ufficiale, cadetto di West Point, ha alle spalle 17 missioni comprese la guerre in Iraq, Siria e Afghanistan. Dopo l'11 settembre si è presentato volontario nella Delta force, l'élite dei corpi speciali americani. "E' stata una missione incredibilmente dura, piena di molteplici complessità, con minacce attive per tutto il tempo" ha twittato il 18mo Corpo aviotrasportato commentando la foto del generale. Donahue, prima di andarsene ha comunicato la consegna dello scalo al comandante talebano che fremeva per entrare e iniziare la festa. Il motto dell'82ima, che ha una base anche in Italia è fino in fondo. E così è stato nonostante un attacco suicida che ha falciato 13 soldati americani e 160 civili in fuga verso la libertà. Per la Caporetto afghana non ci sarà mai un Piave che porterà alla vittoria. La sconfitta è cocente e bagnata di sangue con la strage kamikaze allo scalo. Vent'anni gettati al vento. Un mese e mezzo dopo il ritiro dell'ultimo soldato italiano da Herat i talebani hanno conquistato Kabul. Una guerra lampo che in soli 9 giorni ha fatto cadere 34 capoluoghi di provincia.
La Nato ha sempre combattuto, soprattutto gli italiani, con un braccio legato dietro la schiena a causa del ritornello della missione di pace. L'esportazione della democrazia è stata una boiata pazzesca. Non è un frigorifero o lavatrice che funziona ovunque se la colleghi alla presa di corrente. Il mondo libero non è stato in grado di conquistare i cuori e le menti degli afghani e neppure di sradicare l'inettitudine e la corruzione del governo, che è crollato come un castello di carte assieme alle forze di sicurezza. I diritti acquisiti, le conquiste, come le bambine a scuola, le donne al lavoro, una parvenza di elezioni e di stato di diritto sbandierati all'ammaina bandiera ad Herat dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, si sono sciolti come neve al sole davanti all'avanzata fulminea dei talebani. Anche la musica ne ha fatto le spese e un noto cantante folk è stato passato per la armi.
I talebani, come hanno sempre detto con inflessibile coerenza, non vogliono la democrazia e ancora meno i valori occidentali, ma solo l'interpretazione dura e pura della sharia, la legge del Corano. Dopo vent'anni di guerra cantano giustamente vittoria all'aeroporto di Kabul innalzando il vessillo bianco con i versetti neri dell'Islam ed i combattenti delle loro unità speciali, le Red unit, vestiti da Rambo grazie all'attrezzatura bellica Usa donata agli afghani. Adesso bisogna voltare pagina e fare tesoro degli errori compiuti per guardare al futuro del paese e dei rapporti con l'Emirato integralista. Il nuovo governo, che verrà annunciato fra non molto, sarà il primo banco di prova, ma al di là dei nomi di facciata per renderlo inclusivo i talebani andranno giudicati sui fatti di ogni giorno. Il paese non va isolato, altrimenti non tireremo mai fuori chi è rimasto indietro, pur avendo collaborato con noi, chi ha sempre guardato all'Italia come esempio e ancora di salvezza, chi non vuole vivere nel Medioevo talebano. La comunità internazionale deve monitorare e vigilare per evitare che l'Afghanistan ridiventi la culla del terrore come prima dell'11 settembre. I segnali sono pessimi e non solo per la costola locale dello Stato islamico che sta rialzando la testa.
Ieri è tornato nella provincia natale di Nangarhar, da tempo hub del terrorismo, Amin-ul-Haq, ex capo della sicurezza di Osama bin Laden, che aveva protetto fino all'ultimo lo sceicco di Al Qaida nell'ultima ridotta di Tora Bora. La gente del posto l'ha accolto come un eroe reclamando selfie e baciandogli la mano.
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