L'umanitarismo diventa complice degli schiavisti

"Trattare come percezione distante dalla realtà il disagio di tanta periferia e di sempre più numerose comunità rischia di essere una dialettica alla don Ferrante, per il quale la peste non esisteva"

L'umanitarismo diventa complice degli schiavisti

Caro monsignor Galantino, Dio sa quanto c'è bisogno di chi ci inviti a fare il bene. Ma trattare come «percezione distante dalla realtà» il disagio di tanta periferia e di sempre più numerose comunità rischia di essere una dialettica alla don Ferrante, per il quale la peste non esisteva, non essendo né sostanza né accidente, e ne morì. La percezione è la soglia del dolore, è il modo con cui l'organismo sociale segnala al cervello (che è la politica) che così non va.

La politica ha il compito ingrato di tener conto di tutti i fattori in gioco, di bilanciare i valori. Le forze politiche esprimono quello che la loro base elettorale e sociale gli mette in bocca. Per venire poi al rimprovero fatto al popolo italiano, da parte dell'autorevole vescovo, paragonandolo a quello giordano e libanese, di certo lodevoli, mi permetto alcuni rispettosi rilievi.

In Giordania se ne accolgono a milioni? Ma sono profughi sul serio e della medesima cultura araba. Lo stesso accade in Libano. Attenzione però. La Giordania è il Paese che accolse i Palestinesi come fratelli, e poi il disagio esplose e furono sterminati: qualcuno ricorda il Settembre nero? I Palestinesi approdarono in Libano. E c'è bisogno di ricordare la terribile guerra civile che scaturì?

In Italia, procedendo con un umanitarismo cieco, si rischia di far morire quella pace sociale che ha consentito al nostro Paese di essere luogo di benevolenza verso gli stranieri e capace di autentica accoglienza. La sferza morale fa certo parte delle legittime e tradizionali armi dei vescovi, ma come dice san Paolo: «...E voi padri non esasperate i vostri figli». Non caricateli moralisticamente di fardelli che non sono pronti a portare. È astratto e pericoloso separare la questione umanitaria, che esiste ed è gravissima, da quella della sicurezza, che è altrettanto grave. Esaltare l'umanitarismo, senza il contrappeso di una guerra vera e propria al traffico di migranti, significa essere complici del terrorismo e dell'assassinio. L'organizzazione delle carovane schiavistiche di migranti, profughi o clandestini che siano, è un business che foraggia il jihadismo.

Il cardinal Biffi, che resta e resterà per il secolo passato e quello in corso un grande profeta, sostenne che compito dei cristiani è accogliere quanti più sia possibile, e guai a chi si sottrae a questo dovere di carità. Ma compito dello Stato è impedire che il popolo sia sottoposto a prove insostenibili. Per questo propose di selezionare le quote di immigrati privilegiando quelli di più facile integrazione. D'accordo, oggi la realtà è diversa, dobbiamo anche imparare a non essere il terminale generoso che fornisce un bel mercato alla fabbrica della morte. Vanno colpiti coloro che organizzano carovane, anche sventandone le azioni con la forza, là dove vanno ad attingere la merce umana dei loro affari. Piuttosto si associ a noi, monsignor Galantino, a condannare l'inerzia paurosa dell'Europa.

Il Foglio ricordava proprio ieri che mesi fa l'Europa lanciò la missione Eunavfor Med. Dovrebbe aggredire gli scafisti sulla costa, affondare navigli, dopo ovviamente aver salvato i migranti a bordo. Ma questa flotta oggi circola a vuoto nel Mediterraneo. Armata fino ai denti, ciondola a Nord della Libia ed è diventata un'alleata dell'Isis, poiché «è percepita» come un perfezionamento del tragico servizio taxi, che salva per fortuna tante vite, ma tante altre induce alla morte. Tutto accade poiché l'Europa prima di attaccare la sorgente del traffico vuole il sì dell'Onu (che non ci sarà mai) e quello dei due governi e mezzo libici (che non lo danno): il motivo è che sarebbe «percepito» come un atto di guerra.

E qui torno a essere d'accordo con il segretario della Cei. Percepiscano quello che vogliono, è la realtà di un crimine contro l'umanità, quale è lo schiavismo, che esige quella che San Giovanni Paolo II chiamò «ingerenza umanitaria».

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