
La spinta sulla difesa Ue si è ingolfata, ma resta legata al futuro di Kiev; cui l'Ue vuol assicurare supporto militare anche una volta raggiunto l'accordo Ucraina-Russia Made in Usa. «Sostegno a Kiev per una pace giusta», hanno ribadito ieri la presidente della Commissione Von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Costa. E la Francia ha aperto all'idea italiana di coinvolgere le Nazioni Unite. Se Macron ha infatti convocato per giovedì a Parigi una nuova riunione dei «volenterosi», che potrebbero inviare truppe per «dimostrare d'essere determinati a proteggere la pace e scoraggiare attacchi» russi, ha detto il presidente francese, al Consiglio europeo le alternative suggerite da Roma sono saltate sul piatto degli sherpa. «No a italiani sotto bandiera Nato o Ue, ma Onu, con decisione del Consiglio di sicurezza», ha riaffermato il vicepremier Tajani.
Il Consiglio europeo ha concordato a maggioranza che «la pace non deve premiare l'aggressore». Un'ipotesi a cui i «volenterosi» stanno lavorando sarebbe dunque la costruzione di 4 livelli d'interposizione. Caschi blu da Paesi non europei da schierare nell'eventuale zona demilitarizzata per verificare il rispetto della tregua. Poi un secondo anello composto da forze gialloblu. Poi un terzo, con i «volenterosi» al confine occidentale ucraino. Il quarto sarebbe il backstop Usa. Scenario vincolato all'evoluzione dei pre-negoziati condotti da Trump, sostenuti dall'Ue. Zelensky boccia però la soluzione Onu: «Non ci proteggerebbe da un'occupazione o dal desiderio di Putin di tornare, non è un'alternativa a truppe sul posto e alle garanzie di sicurezza che abbiamo chiesto». Ma già non si parla più di security guarantees; piuttosto di dispositivi di sicurezza (security arrangements). Il contingente europeo potrebbe avere sorveglianza aerea: di Londra, con i suoi intercettori multiruolo Typhoon. Ipotesi allo studio.
Chiuso il Consiglio europeo a Bruxelles, i leader tirano pure le somme di quel che è stato un vertice delle buone intenzioni, quanto a investimenti in difesa. Il riarmo si allontana di qualche mese. Ancora troppe divisioni sul debito che i Paesi dovrebbero affrontare per assecondare la madrina del Piano; secondo Von der Leyen, in grado di «cubare» fino a 650 miliardi di investimenti, se gli Stati aggiungessero l'1,5% del Pil ai bilanci della difesa ogni anno per 4 anni. Poca chiarezza ancora, anche sui settori per cui gli Stati membri potrebbero chieder prestiti vantaggiosi a lunga scadenza (ma sempre da ripagare) dal fondo Safe da 150 miliardi.
Armi? Non solo, ha spiegato Ursula: «È un ambito più ampio». Ma dato che ognuno tende a interpretare a piacere il ReArm ribattezzato Readiness 2030, prontezza, dopo le riserve espresse da Meloni e dallo spagnolo Sánchez l'operazione è in stand by.
C'è già una data in calendario entro cui capire fino a che punto i partner Nato saranno pronti a spendere individualmente di più: 24-26 giugno, vertice dell'Alleanza all'Aia. Nessuno ha intenzione di presentarsi impreparato: gli Usa hanno chiesto agli europei un aumento del Pil per la difesa quanto più vicino al 3,5% e ieri The Donald ha ribadito: «Devono trattarci bene». L'Italia oggi fatica a raggiungere il 2%; idem altri Paesi del fianco sud. C'è in campo perfino l'idea di una Nato senza America entro 10 anni: Regno Unito, Francia, Germania e Nordici «sono impegnati in discussioni informali per una transizione ordinata», scrive il FT.
Ursula, chiudendo il Consiglio, ha detto che si potrà spendere per «priorità infrastrutturali, mobilità militare, per colmare le lacune di capacità, dai missili ai droni all'artiglieria e per moderna guerra elettronica, tra cui informatica e
comunicazione». Gli sherpa devono in poche settimane dar nome e cognome alle voci di spesa. Il Commissario all'Economia Dombrovskis ha già fatto sapere che non tollererà artifici lessicali per concedere di sforare il Patto.
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