Quel "mai più" e l'Olocausto degli ucraini

L' appello del Pericle dei nostri tempi, Zelensky, ai parlamenti dei Paesi democratici ha una sua tappa fondamentale domenica a Gerusalemme, alla Knesset.

Quel "mai più" e l'Olocausto degli ucraini

L' appello del Pericle dei nostri tempi, Zelensky, ai parlamenti dei Paesi democratici ha una sua tappa fondamentale domenica a Gerusalemme, alla Knesset. Modulato, memore di episodi differenziati, è un'unica chiamata alla guerra per la libertà. E domenica, è la volta del Parlamento e del popolo che, sulla memoria della persecuzione genocida porta idealmente scritto «never again» a caratteri di fuoco. È evidente che Zelensky userà queste parole, anche perché sono quelle che gli suggerisce la sua memoria di ebreo ucraino: dal 1.600 agli anni del nazismo e poi del comunismo, il popolo ebraico è stato in Ucraina perseguitato, sterminato, legato, confinato e costretto a fughe infinite.

Zelensky alla Knesset proporrà di sicuro il tema «never again» e subito, a ragione, ci sarà chi gli dirà che la Shoah non ha paragoni. Ed è vero: mille volte abbiamo spiegato come lo sterminio degli ebrei sia stato lo scopo primo che ha condotto alla guerra di dominio di Hitler. Ora è una guerra di dominio che porta alle stragi cui assistiamo, che per misura e intenzione non sono comparabili a quelle della Shoah. E tuttavia: la sofferenza è sempre comparabile, simile lo strazio della morte, la fame e il freddo dei bambini, la fuga privati di tutto. Il tema per ogni israeliano è evidente ed è tutto là: per questo da qui, a frotte, giovani religiosi e laici si sono precipitati ai confini ad aiutare le mamme e le nonne coi bambini. Fra russi e ucraini ci sono più di un milione di vecchi immigrati, parlano dei 9900 sopravvissuti della Shoah rimasti a languire a Kiev e dintorni. E quei bambini, fino a ieri vestiti col l'ultimo giaccone stile benetton, parlano dello stupore che immobilizza: dal tutto al niente, dal «diritto alla felicità» alla morte.

Never again vale per tutto questo? Certo che sì, e Zelensky lo sa e ne parlerà. Valore e memoria. Zelensky sa che Gerusalemme possiede lo spirito, oltre alla famosa equidistanza politica di cui tutto il mondo parla, al gran numero di russofoni e di leader ucraini di oggi e di ieri (Golda Meir, Jabotinsky). Biden si fida di Bennett, sa che comunque può. Anche Putin non ignora la spinta morale in più che Israele può fornire al mondo, e qui non si sente odiato. Israele resta nell'immaginario collettivo l'approdo dopo la grande terribile tempesta, la spiaggia su cui per sempre si combatte la battaglia per la storia e la vita, per non obliterare, cancellare, mettere in fuga.

Lo sa Zelensky, e anche Putin non lo ignora. La pace di Gerusalemme ha qualche chance. Israele però deve chiedere un contraccambio a tutti gli interlocutori: non vendeteci all'Iran per i vostri scopi. Anche noi rischiamo la vita.

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