Una mail, inviata quaranta giorni prima di essere rapito, torturato e ucciso. Giulio Regeni l'ha scritta a Hoda Kamel, attivista del centro egiziano per i diritti economici e sociali, la donna a cui si era rivolto per farsi aiutare nella sua ricerca sul mondo dei venditori ambulanti in Egitto. Una conferma a ciò che già era emerso: il ricercatore friulano stava indagando tra gli ultimi, i senza diritti del Cairo, cercando di portare alla luce le contraddizioni di un regime tutt'altro che liberale. Ed è proprio lì che andrebbero ricercati i perché di una così tragica e violenta fine su cui va ancora fatta chiarezza.
Proprio i documenti di Regeni potrebbero dire molto sulla sua fine. È stato accertato infatti che qualcuno ha violato il profilo Google del ricercatore un mese dopo la sua morte. Un accesso che sarebbe avvenuto dall'Egitto utilizzando proprio la password di Regeni. Su questo e su molto altro dovranno contribuire a fare chiarezza anche gli investigatori egiziani ed ora un piccolo spiraglio sembra riaprirsi.
Ad un mese dal fallito vertice di Roma, gli investigatori italiani torneranno in Egitto. Gli uomini dello Sco della Polizia e quelli del Ros dei Carabinieri avranno sabato un nuovo incontro con i colleghi egiziani, per fare un punto sullo stato delle indagini e verificare se l'Egitto abbia finalmente intenzione di collaborare.
La speranza è che non vada in scena la stessa farsa che costrinse l'Italia a richiamare l'ambasciatore al Cairo Maurizio Massari. Qualcosa, forse, si muove.
La procura del Cairo ha inviato a Roma una piccola parte dei tabulati telefonici che erano stati richiesti anche tramite una rogatoria internazionale visto il secco «no», per presunti motivi di privacy, ricevuto dal Cairo in prima battuta. Adesso saranno analizzati e, magari, sabato anche integrati. MBas- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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