Il malavitoso ringrazia chi lo ha fatto arrestare. "Il carcere mi è servito"

L'esponente del clan Flachi si rivolge così al gelataio che lo aveva accusato di estorsione

Il malavitoso ringrazia chi lo ha fatto arrestare. "Il carcere mi è servito"

«Ti ringrazio per avermi fatto arrestare». Nel mondo della malavita di inizio millennio, può accadere anche che il gangster finito in manette invece di giurare vendetta contro chi lo accusa, gli esprima la sua gratitudine: perché solo il carcere gli ha aperto la strada per rimettersi in riga. Accade in uno dei quartieri più hard boiled di Milano, la Comasina che fu regno di Renato Vallanzasca, e a ringraziare l'«infame» è il rampollo di una famiglia che per decenni ha dominato il quartiere: i Flachi, calabresi trapiantati al nord, protagonisti negli anni Ottanta di una delle faide più sanguinose che la Milano nera abbia vissuto.

Giovanni Flachi ha 47 anni, ma ne dimostra un po' di più. Di lui in quartiere si diceva che era talmente fuori controllo che la famiglia si rivolgeva a lui per le missioni più estreme e violente. A dicembre dell'anno scorso lo hanno arrestato di nuovo: il pm Stefano Ammendola, del pool antimafia di Milano, ha accusato lui, suo fratello Enrico e un altro calabrese, Massimo Nucera, di avere taglieggiato un gelataio. Caso più unico che raro, il gelataio - dopo più di un patema d'animo - è andato dai carabinieri a raccontare tutto: e il seguito dimostra che ribellarsi al pizzo è possibile, perché in una manciata di mesi i tre sono stati arrestati, processati e condannati. La sentenza del giudice Sofia Fioretta parla di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Ed è lì, nelle pieghe della sentenza, che salta fuori la straordinaria espressione di riconoscenza di Flachi al gelataio: il malavitoso si guarda bene dall'ammettere alcunché, ribadisce di non avere mai preteso nessun «pizzo», spiega di avere al massimo mangiato in quel negozio un cono o una coppetta, dice di non spiegarsi perché mai Ceddia - è il nome del gelataio - lo abbia voluto accusare. Eppure lo ringrazia. «Nonostante non comprenda la ragione perché il Ceddia abbia sollevato queste accuse verso di me non mi dispero perchè in tutta sincerità questo mio arresto è servito a uscire dalla dipendenza da cocaina, ecco il perché non nutro rancore verso il Ceddia mentre lui per sue ragioni (a me estranee) mi ha salvato da una vita inaccettabile... mi ha dato modo di intraprendere un percorso di recupero ora qui all'interno del carcere e quando sarà il momento in una comunità dove finalmente potrò con le mie capacità artistiche essere d'aiuto agli altri e a me stesso».

Eppure sono passati pochi mesi dalla scena - assai meno ecumenica - andata in scena al momento dell'esecuzione dell'ordine di cattura ottenuto dal pm Ammendola per Nucera e per i due fratelli Flachi, con «Gianni» che mentre gli mettono le manette abbraccia la sua donna e sbraita all'indirizzo del gelataio promettendo - scrivono i carabinieri che «avrebbe fatto in modo che il denunciante avesse pagato con la propria pelle il danno causatogli con la giustizia», e assicurando di essere «pronto a pagare la giusta pena purché riuscisse a infliggergli la meritata punizione». Sei mesi dopo, però, i toni sono molto diversi. Al giudice Fioretta i difensori di Giovanni Flachi depositano una lettera che l'imputato ha mandato dal carcere: si mette allo scoperto, scrive che «avevo un grande problema di dipendenza da cocaina in quanto ne facevo uso per endovena», «non ho mai avuto difficoltà per reperirla perché le mie capacità in merito all'arte insieme alla mia pensione di invalidità che percepisco ogni mese mi davano il mondo di vivere senza problemi».

E chissà quanto avrebbe amato andare avanti, il rampollo della dinastia Flachi, con il suo tran tran di pensioni di invalidità e di siringhe piene di coca: se a salvarlo non fosse arrivato un gelataio, accusandolo di averlo taglieggato. Giustamente, ingiustamente, alla fine quasi non conta.

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