Il marmo italiano in mano anche ai Bin Laden

Settore in crisi, filiera sempre più in difficoltà: è un momento nero per il marmo della Toscana. Oltre alla concorrenza sleale vi sono anche i colossi stranieri che mettono le mani sulle nostre imprese del settore, a denunciarlo è la deputata Maria Teresa Baldini

Il marmo italiano in mano anche ai Bin Laden

I marmi da sempre sono una delle caratteristiche più conosciute e famose del carrarese, ma più in generale della Versilia e dell’intera Toscana.

Non sono soltanto una fonte di reddito per migliaia di famiglie, così come non sono soltanto elementi caratterizzanti l’economia della zona. I marmi costituiscono un vero e proprio tratto culturale di questi territori: qui i più grandi artisti della storia italiana hanno preso i marmi che oggi compongono alcune delle meraviglie della storia dell’arte conosciute in tutto il mondo, dalle cave toscane è passato il genio italiano ammirato a livello universale.

Oggi, manco a dirlo, il settore è in crisi. Viene sofferta in primo luogo la concorrenza internazionale. Così come denunciato dalla deputata Maria Teresa Baldini, appartenente a Fratelli d’Italia e nativa di Pietrasanta, occorrono importanti e decisive azioni di tutela dei marmi toscani.

Il rischio maggiore, secondo la deputata, riguarda la concorrenza sleale: vengono infatti immessi nel mercato prodotti finiti a basso costo fatti in Cina, India ed in altri paesi dove i costi della manodopera sono di gran lunga minori. E proprio questi paesi a volte vengono a fare “spesa” nel carrarese: si compra la materia prima in Italia, si acquista qui il marmo e poi tutto però viene elaborato all’estero.

Con il risultato che il prodotto finito viene venduto nel nostro paese e spacciato per italiano. Sarebbe soprattutto questo ad aver inflitto colpi importanti al settore, con diverse aziende impegnate direttamente od indirettamente nella filiera costrette ad alzare bandiera bianca.

Ma non solo: il distretto del marmo toscano è preda anche di aziende e multinazionali straniere. Molte società che prima erano semplici clienti delle nostre imprese, adesso sono i nuovi padroni di casa. Ed il marmo italiano è sempre meno in mani italiane.

Sta destando scalpore ad esempio la scalata della holding della famiglia saudita Bin Laden, la stessa a cui apparteneva il fondatore di Al Qaeda Osama Bin Laden. Da quest’ultimo la famiglia ne aveva preso le distanze già prima dell’11 settembre 2001, il giorno in cui il terrorista saudita è diventato ancora più tristemente celebre per l’attacco compiuto alle Torri Gemelle di New York.

Osama era il diciassettesimo figlio del capostipite, Mohamed Bin Laden, uno yemenita emigrato in Arabia e costretto inizialmente a fare il facchino nel porto di Gedda per tirare a campare. Poi l’amicizia con Abd Al Aziz bin Saud, fondatore del regno saudita, ha significato la svolta per lui e per la famiglia. È stata fondata un’impresa attiva soprattutto nel settore immobiliare, la quale è diventata negli anni un colosso gestito dagli ultimi figli (56 in tutto) superstiti.

La holding dei Bin Laden ha costruito in tutto il regno saudita decine di opere, moschee ed infrastrutture, servendosi spesso anche del marmo toscano. Dopo essere stata per anni tra i clienti più importanti delle imprese locali, oggi l’azienda dei Bin Laden (nel frattempo caduta parzialmente in disgrazia negli ultimi anni a causa dei dissidi con il principe ereditario Mohamad Bin Salman) controlla il 50% della Marmi Carrara. Si tratta della società, come afferma Brunella Bolloli su Libero, che possiede la metà della Sam, Società Apuana Marmi, una delle principali operanti nella filiera del marmo toscano.

E questo è solo uno degli esempi di come colossi stranieri riescono a comprare oramai intere quote di chi controlla il marmo italiano.

Secondo la deputata Maria Teresa Baldini, una prima soluzione ci sarebbe: la creazione di un marchio Dop, in grado di tutelare la specificità del marmo nostrano e difenderlo dalle contraffazioni e dalla concorrenza sleale.

“Bisogna creare un marchio del Marmo Italiano Dop che tuteli tutta la filiera, dall' estrazione, trasformazione e lavorazione del marmo del distretto Apuo-versiliese”, ha dichiarato la deputata di Fratelli d’Italia. Nei giorni scorsi Maria Teresa Baldini ha anche presentato un’iniziativa, presso la commissione attività produttive della Camera, che impegni il governo in tal senso.

La strada però per arrivare alla tutela del marmo italiano è ancora lunga, tuttavia occorre percorrerla: in palio, oltre che posti di lavoro e filiere produttive, ci sono anche elementi culturali caratterizzanti il nostro paese.

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