Dicono che «non è una battaglia no vax, ma una battaglia democratica». Ma di fatto hanno detto di no al vaccino e, a quanto pare, non hanno nessuna intenzione di cambiare idea. Anche a costo di perdere il lavoro che, nel caso di chi indossa il camice bianco e opera a contatto con soggetti fragili, li obbliga ad immunizzarsi. Rischiano demansionamenti, sospensioni, trasferimenti. Eppure non demordono. Trecento operatori sanitari e medici di Brescia, Cremona, Bergamo e Mantova hanno presentato ricorso al Tar di Brescia chiedendo l'annullamento dell'obbligo vaccinale. Non è la prima volta e non sarà l'ultima, è già accaduto in altre parti d'Italia, altri 150 soltanto in Emilia Romagna.
È stato Il giornale di Brescia ad anticipare la notizia dell'ultimo ricorso, che sarà discusso il 14 giugno, dal quale dipenderà il futuro professionale degli irriducibili del vaccino. «Qui si obbliga una persona a correre un rischio altrimenti gli viene impedito di svolgere la professione», spiega l'avvocato Daniele Granara che ha presentato l'istanza contro quattro diverse Ats. «L'Italia - si legge nelle 52 pagine dell'atto - è l'unico Paese dell'Ue a prevedere l'obbligatorietà per determinate categorie di soggetti della vaccinazione per la prevenzione della Sars-CoV-2». È da qualche settimana che si sta stringendo il cerchio intorno ai sanitari che hanno rifiutato l'immunizzazione prevista dal decreto Draghi del 1 aprile, poi trasformato in legge. Pochi in percentuale, si parla del 2,36% della categoria, ma comunque tanti per chi dovrebbe credere nella scienza. In tutte le aziende sanitarie sono partiti gli atti di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale e chi continua a temporeggiare, ha ricevuto dei veri e propri ultimatum. In molte Regioni sono già partite le prime sospensioni. In altre, come dicevamo, è cominciato un braccio di ferro a colpi di carte bollate. Anche se la legge parla chiaro: «Fino alla completa attuazione del piano strategico vaccinale - si legge - e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, gli operatori sanitari che svolgono attività presso strutture sanitarie, sociosanitarie, farmacie e studi professionali sono obbligati a sottoporsi alla vaccinazione contro il Covid-19, a meno di specifiche condizioni cliniche documentate. La vaccinazione costituisce requisito essenziale all'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati». Per chi non accetta la dose, non appena la Asl di competenza ha accertato la violazione dell'obbligo, scatta la sospensione. Come chiarito solo pochi giorni fa dalla stessa Federazione degli ordini dei medici in una comunicazione inviata ai presidenti degli ordini provinciali. La norma attribuisce «all'azienda sanitaria l'accertamento della mancata osservanza dell'obbligo vaccinale dalla quale discende la sospensione ex lege dall'esercizio della professione sanitaria e dalla prestazione dell'attività lavorativa. L'accertamento viene comunicato dalla Asl all'interessato, al datore di lavoro e agli ordini professionali perché ne prendano atto e adottino i provvedimenti e le misure di competenza». A quel punto all'interessato arriva la comunicazione della sospensione temporanea dall'esercizio della professione dal proprio ordine.
Fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o comunque non oltre il 31 dicembre 2021. Unica possibilità per tentare di rimanere sulle proprie posizioni ideologiche, è appunto ricorso amministrativo al Tar. A quanto pare una strada che stanno tentando di percorrere in molti.
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