Meloni fiduciosa sui negoziati tra Russia e Ucraina. Il nodo dell'ingresso di Kiev nella Nato

Fazzolari: "La notizia è che Putin vuole trattare. È merito dello stallo sul campo arrivato grazie al sostegno occidentale". Le garanzie di sicurezza per gli ucraini e i dubbi su una forza d'interposizione Ue

Meloni fiduciosa sui negoziati tra Russia e Ucraina. Il nodo dell'ingresso di Kiev nella Nato
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Le perplessità dell'Europa sul negoziato tra Mosca e Kiev sollecitato da Donald Trump emergono in maniera lampante dalla presa di posizione di Kaja Kallas. L'Alta rappresentante Ue per la politica estera, infatti, non solo ribadisce la necessità di un «coinvolgimento dell'Unione europea», ma aggiunge anche che «qualsiasi soluzione rapida sull'Ucraina è un affare sporco e, come in passato a Minsk, non funzionerà». Una presa di posizione netta e che rispecchia lo scetticismo silenzioso della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e della maggior parte dei leader europei.

Anche la premier Giorgia Meloni sul punto ha preferito non intervenire pubblicamente. Ma a Palazzo Chigi non si respira quell'aria di scetticismo che sembra soffiare a Bruxelles. «L'impostazione che Meloni ha portato avanti fin dall'inizio della guerra ora comincia a dare i suoi frutti», spiega infatti al Giornale il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari. Perché, aggiunge, «oggi la notizia è che la Russia è disposta a trattare, cosa che fino a qualche mese fa non aveva alcuna intenzione di fare» e questo «accade perché Mosca è stata fermata sul campo e si è creata una situazione di stallo che è sì merito dell'eroismo del popolo ucraino ma anche del sostegno occidentale di questi tre anni alla causa di Kiev». Parole che sembrano quasi fare il controcanto al leader M5s Giuseppe Conte, che ieri è tornato a criticare Ue e governo italiano per aver «inviato armi a oltranza» all'Ucraina.

Insomma, a Palazzo Chigi si guarda con fiducia all'accelerazione imposta da Trump. Nella convinzione che al di là della narrativa di questi giorni di un Vladimir Putin che avrebbe in mano le leve del negoziato, alla fine la sostanza sia che quello che qualcuno ha definito «un popolo di badanti e camerieri» sia riuscito a fermare l'ex Armata rossa per ben tre anni, costringendola alla fine ad accontentarsi della conquista del 18% del territorio ucraino. Il tutto con un costo umano ed economico enorme per Mosca, che - al netto della Crimea che era già sotto il suo controllo - non si è allargata su zone strategiche. Insomma, uno scenario su cui avrebbero scommesso in pochi all'indomani dell'invasione di Mosca del 24 febbraio 2022. Peraltro, facendo un ragionamento di realpolitik, l'accelerazione imposta da Washington consente anche a Volodymyr Zelensky di aprire alla trattativa sulla cessione di alcuni territori, unico punto di caduta possibile di un negoziato che possa andare a buon fine. E il fatto che il leader ucraino possa sostenere in casa che questa strada evidentemente dolorosa è in qualche modo imposta dagli Stati Uniti può facilitare il quadro. E creare i presupposti di una soluzione che ricalchi quella della Guerra d'inverno del 1939-40 da cui alla fine - pur cedendo il 10% del suo territorio - uscì vittoriosa la Finlandia e non certo la Russia.

Meloni, ovviamente, è ben consapevole che restano comunque alcuni giganteschi nodi sul tavolo. A partire dalle garanzie di sicurezza da dare all'Ucraina a negoziati conclusi. La soluzione sarebbe quella di un suo ingresso nella Nato, su cui c'è però il veto di Mosca. Un punto di compromesso che a Palazzo Chigi viene visto di buon occhio potrebbe essere quello di allargare a Kiev l'applicazione dell'articolo 5 dell'Alleanza atlantica pur senza un suo ingresso formale. Anche perché l'altra strada per garantire l'Ucraina sarebbe l'adesione all'Ue, una soluzione che avrebbe tempi lunghi e comporterebbe complicazioni sul mercato interno.

Sull'ipotesi di una forza di interposizione europea (e cinese), invece, il governo italiano - a differenza di Parigi e Londra - nutre qualche perplessità.

Soprattutto perché il conflitto tra Russia e Ucraina ha seguito regole d'ingaggio sul terreno quasi da Seconda guerra mondiale. Insomma, il rischio è che in caso di crisi un contingente europeo non sia in condizione di operare davvero. Potrebbe avere più senso, invece, inviare degli osservatori internazionali lungo il confine.

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