La versione ad uso e consumo dei media è che «non si è parlato di nomi, incarichi, deleghe né ministeri». Uno dei pochi punti su cui Giorgia Meloni e Matteo Salvini - almeno pubblicamente - concordano. Come se fossero due alieni, che - vinte le elezioni e con un governo da formare di qui a due settimane - si incontrano a Montecitorio per la prima volta dopo il voto e disquisiscono amabilmente della «fiducia che gli hanno dato gli italiani» e del «dossier energia». Questo, almeno, è il resoconto dei comunicati ufficiali dei due partiti e delle veline serali. Il racconto di un mondo beato e spensierato ai limiti dell'incoscienza. Perché è evidente - non potrebbe essere altrimenti - che l'unico argomento di confronto tra i tre partiti che hanno vinto le elezioni - Fdi, Lega e Fi - è la futura squadra di governo. Passando, ovviamente, per la nomina dei presidenti di Camera e Senato. Che è la tappa preliminare - la prima seduta del nuovo Parlamento è in programma il 13 ottobre - per poi passare alle consultazioni al Colle e all'incarico a formare il nuovo esecutivo da parte di Sergio Mattarella. Che, è l'auspicio sia di Meloni che del Quirinale, potrebbe arrivare il 22 ottobre. Difficilmente prima, perché Mario Draghi sarà impegnato a Bruxelles per il Consiglio Ue e ci sarebbe un evidente problema di forma. Possibilmente non dopo, per evitare l'accavallarsi con il centenario della marcia su Roma (28 ottobre 1922), una data piuttosto evocativa.
D'altra parte, non c'è tempo da perdere. Non solo per l'aggravarsi della situazione economica, ma pure perché c'è da presentare alle Camere la legge di Bilancio da approvare entro il 31 dicembre. Con buona pace del clima quieto e bucolico veicolato dai rispettivi staff (che neanche nella tolkeniana Gran Burrone), il faccia a faccia tra Meloni e Salvini pare invece non sia stato affatto idilliaco. Come, necessariamente, è nelle cose della politica. Non è un segreto, infatti, che il nodo più difficile da sciogliere del governo che verrà sia il ruolo che ricoprirà il leader della Lega. Salvini vorrebbe il ministero dell'Interno e chiede in seconda istanza la poltrona di vicepremier. Meloni, invece, è ben consapevole che dargli un posto in prima fila nell'esecutivo significherebbe allarmare Bruxelles e Washington. Pesano i rapporti - veri o presunti - con Mosca, ancora di più la posizione tenuta in questi mesi sull'invasione dell'Ucraina e sulle sanzioni alla Russia. Sul punto, non è un mistero, Meloni è sempre stata decisamente a fianco di Kiev. E sa bene quanto Salvini possa essere ingombrante. Il leader della Lega, ovviamente, la vede diversamente. Non ha gradito affatto che la leader di Fdi abbia incontrato in prima battuta Antonio Tajani, ma - soprattutto - ha chiesto in alternativa al Viminale la vicepremiership con delega ai Trasporti. Sulle deleghe nessun problema, mentre Meloni avrebbe più di una qualche perplessità nel presentarsi al giuramento al Quirinale con Salvini come vice. Anche se l'altro vice fosse Tajani, coordinatore di Forza Italia, vicepresidente del Ppe ed ex presidente del Parlamento europeo, un nome più che spendibile sul fronte internazionale. Perplessità note, notissime. E per quanto Giorgia ieri abbia ripetuto a Matteo che sul punto i giornali hanno riportato «virgolettati di frasi» da lei «mai pronunciate», Salvini sa benissimo che la leader di Fdi pensa esattamente quanto ha smentito.
Poi c'è il delicato tema delle presidenze dei due rami del Parlamento. Chi conosce bene Meloni, infatti, è sicuro che una delle sue grandi preoccupazioni sia la guida del Senato. Fosse per lei, insomma, una casella da tenersi stretta e, nel caso, destinata ad Ignazio La Russa (che ripete in giro di non avere «faticose» ambizioni di governo). Così, sarebbe certa di evitare scherzi a Palazzo Madama. Anche se, spiegano i funzionari del Senato, dopo il taglio dei parlamentari - e con l'ultima a riforma dei regolamenti - i 112 seggi (su 200) che ha il centrodestra sono più che sufficienti a blindare la maggioranza. Certo, passare dal proporre una Camera all'opposizione a portare a casa sia Palazzo Chigi che Palazzo Madama è un bel salto. Ma ci sono precedenti illustri, da Carlo Scognamiglio a Pietro Grasso.
Intanto, Meloni lavora anche alla squadra che - se tutto andrà come sembra - la seguirà alla presidenza del Consiglio. Come sottosegretario si è più volte fatto il nome del senatore Giovanbattista Fazzolari, fedelissimo della leader di Fdi, con grande esperienza politica e di partito ma non alla macchina del governo. Per lui, insomma, un ruolo soprattutto politico.
Quello più tecnico, invece, potrebbe averlo Carlo Deodato - consigliere di Stato, attuale capo del dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi - che Meloni vedrebbe bene come segretario generale della presidenza del Consiglio.
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