Il messaggio di Putin all'Ovest e tutti i passi verso l'escalation

L'attacco dice che Mosca non sta scherzando. Europa e Usa si chiedano se sono pronte a intervenire sul campo

Il messaggio di Putin all'Ovest e tutti i passi verso l'escalation

Trenta missili per metterci alla prova. Trentacinque missili per farci capire che non si scherza più. Un raid e due avvertimenti che la Nato e l'Europa non possono ignorare. A soli 25 chilometri del centro di addestramento di Leopoli disintegrato dalle testate russe corre infatti il confine con la Polonia. E lungo quel confine passa il Rubicone disegnato dall'articolo 5 della Nato. Quell'articolo non è soltanto un simbolico flatus vocis, ma bensì lo spartiacque decisivo capace di trasformare un attacco a Varsavia in una guerra di tutta l'Alleanza contro la Russia.

Un «Rubicone» rammentato drammaticamente dal portavoce del Pentagono John Kirby pronto, ieri, a ricordare agli alleati che «un attacco armato contro uno è un attacco contro tutti». Proprio per questo la durissima minaccia di Mosca va presa con estrema serietà e consapevolezza. I giochi, insomma, sono finiti. Le capitali europee, d'intesa con Londra e Washington, non possono più chiedersi soltanto se sono disposte ad aiutare l'Ucraina. Devono, a questo punto, domandarsi se sono pronte ad accettare che i propri soldati e i propri cittadini muoiano per fermare Mosca. E devono farlo senza fraintendimenti. Anche perché Mosca stavolta ha prima avvertito, poi colpito e infine rilanciato la minaccia. Per capirlo basta riavvolgere il film dell'attacco al centro di Yavoriv. A partire dai luoghi, ovvero da uno scenario decisamente cruciale.

Leopoli è il capoluogo di quei territori occidentali dell'Ucraina che, per ragioni storiche e politiche, restano al di fuori dalle mire del Cremlino. Quindi, in teoria, non dovrebbe venir colpita. A far la differenza contribuiscono due elementi. Il primo è la contiguità con quella frontiera polacca da cui passano le armi promesse dai paesi della Nato (Italia compresa) all'Ucraina. Nei sospetti di Mosca quella contiguità fa di Leopoli non solo il punto d'arrivo, ma anche il centro di smistamento dei carichi di armi e munizioni. Carichi che dribblano i pattugliamenti russi e raggiungono le zone del fronte grazie alle informazioni satellitari garantite dall'intelligence occidentale. Non a caso solo 12 ore prima del micidiale raid missilistico, il Cremlino mette in guardia Washington ed i suoi alleati. «Avvisiamo gli Stati Uniti - ammonisce il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov - inviare armi dai vari paesi pronti a stare al gioco non è soltanto una mossa pericolosa, ma un'azione che trasforma quei convogli in obbiettivi legittimi». Come dire siamo pronti a colpire chiunque partecipi a quelle spedizioni.

E qui arriviamo al secondo elemento critico dello scenario ovvero il centro di addestramento di Yavoriv colpito dai missili russi. Nella base - conosciuta con il nome un po' paradossale di «Centro internazionale per la sicurezza e il mantenimento della Pace» - lavoravano, fino allo scorso febbraio, gli istruttori della Guardia Nazionale statunitense, dell'esercito britannico e di altre forze della Nato impegnate a formare le unità dell'esercito ucraino. Dopo il rientro degli addestratori Nato l'infrastruttura è diventata - come dimostra la presenza di numerosi europei e stranieri tra le vittime del raid - il punto di ritrovo dei circa 20mila «volontari provenienti da 52 paesi diversi» pronti, secondo il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba, a combattere per Kiev. Ma questo flusso di «volontari» - legittimati dal via libera concesso da due donne ai vertici della politica europea come la segretaria agli esteri di Sua Maestà Liz Truss e la premier danese Mette Frederiksen - insospettisce non poco il Cremlino. Agli occhi di Mosca tra quei «volontari» si nascondono militari delle forze speciali mandati a garantire il coordinamento dei convogli o a continuare, sotto mentite spoglie, l'addestramento delle forze di Kiev.

«Abbiamo ucciso mercenari stranieri, distrutto armi straniere e continueremo a eliminare i mercenari stranieri

arrivati in Ucraina»,- ripeteva ieri il ministero della Difesa di Mosca. Insomma a giudicare non solo dalle parole, ma anche dai fatti le rappresaglie non si fermeranno qui. Per questo da ieri il Rubicone è sempre più stretto.

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