Ci sono re che non hanno bisogno di corone. Per questo l'ennesimo dubbio sulle imprese di Reinhold Messner e sui capostipiti della fortissima scuola polacca, da Jerzy Kukuczka a Krystof Wielicki, lascia più spazio all'amarezza che allo stupore. Il sito 8000ers, il data base più accreditato per chi ami record e statistiche sul mondo dell'Himalaya e delle terre alte, lo aveva annunciato a metà settembre: i parametri cambiano, si fanno più stringenti. Chi desidera essere annoverato come summiter, cioè conquistatore di una cima, deve comprovarlo con tanto di foto, prove e pedigree. Di solito leggi o regole nuove non sono retroattive, soprattutto non dovrebbero esserlo in quota dove pochi decenni pesano come ere geologiche: basti pensare che cosa potesse significare anni fa scalare senza Gps, radio, selfie di gruppo in vetta, al netto dell'attrezzatura moderna.
Ma tant'è: in dubbio fra le imprese del re degli Ottomila sarebbe l'ascesa all'Annapurna del 24 aprile 1985. A spodestare, all'alba degli 80 anni, Messner dalle sue cime aveva già provato un anno fa Eberhard Jurgalski, cronista tedesco fra i collaboratori del sito che ha immediatamente solleticato l'interesse del britannico libro dei Guinnes dei primati che, infatti, da ieri non annovera più l'alpinista di Funes come il primo ad aver completato, fra il 1970 e il 1986, le salite dei 14 Ottomila del pianeta. Tutti senza ossigeno, molti in solitaria o per vie inedite e tanti in compagnia di Hans Kammerlander, altro altoatesino che proprio sull'Annapurna, quasi 40 anni fa, avrebbe mancato la vetta «Per 5 -6 metri», così puntualizzano i moderni revisori dei conti. Con buona pace dell'Annapurna, «dea dell'abbondanza» anche di polemiche: i suoi 8091 metri ne fanno il decimo Ottomila del pianeta, ma il più pericoloso, con una mortalità del 40%. Ne sa qualcosa Simone Moro, che degli Ottomila è il re delle invernali: nel Natale del 1997 vide trascinato via da una valanga il suo grande amico e fortissimo alpinista Anatolij Buukrev e sopravvisse a sua volta per miracolo. Scalato per la prima volta nel 1950 da Maurice Herzog ed, in prima invernale solo nel 1987 da Kukuzcka altro censurato dal guinness dei primati, Messner e Kammerlander lo avevano affrontato due anni prima. Per Reinhold era l'11esimo Ottomila, per Hans, il secondo. «Chi sa di alpinismo non dà credito a questo revisionismo» il commento secco di Messner: «Le cime sono fatte di ghiaccio e neve, a quelle quote il vertice può cambiare e nel caso dell'Annapurna che ha sei punte ed una cresta che, dai 7200 metri, si allunga per oltre 3 km è davvero difficile stabilire quale fosse il punto più alto nel 1985. Non ho mai scalato per un record, ne ho mai richiesto che mi venissero appuntate medaglie al petto». Fine delle polemiche? Il sito del Guinnes ora affida il primato al veterinario statunitense Ed Viesturs (nella foto) che ha effettivamente scalato i 14 Ottomila fra 1989 e 2005. Peccato che ad essere cancellati dai Guinness siano anche altri. Via il polacco Jerzy Kukuczka, cui bastarono solo 8 anni, rispetto ai 16 di Messner, per collezionare la preziosa raccolta, prima di morire sul Lhotse nel 1989, quando Viesturs stava cominciando la sua carriera. «Tu non sei secondo: sei grande», gli disse Messner proprio in seguito all'invernale all'Annapurna.
Via anche il fortissimo Krystof Wielicki e via, fino all'11esima posizione di questa hit, anche un altro italiano, Sergio Martini, classe 1949, che aveva eguagliato Messner nel 2000, completando i suoi 14 Ottomila. Per lui sarebbe in discussione il Lhotse. Salvi invece i record di Silvio Mondinelli, Nives Meroi ed Abele Blanc. Un bel pasticcio d'alta quota.
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