«E pensare che mi ridevano dietro», dice sorniona Giorgia Meloni a Montecitorio, indicando la sua foto nella Sala delle Donne, appena appesa al posto di uno specchio. Invece adesso eccola, a capo di un governo, prima in Italia ad aver rotto il famoso soffitto di cristallo. «Ricordo gli sguardi divertiti dei colleghi quando, da vicepresidente della Camera, dirigevo le sedute dell'Aula». Non ce la fa, non è in grado, non è esperta. «Le stesse occhiate le ho incontrante quando sono diventata il ministro più giovane della storia del Paese, quando ho fondato un partito e persino qualche mese fa quando, con trent'anni di politica sulle spalle, sono stata nominata presidente del Consiglio». Insomma, come ha detto Elly Schlein la notte delle primarie, «essere donna è un vantaggio, spesso non ti vedono arrivare».
Succede dunque anche questo, che alla vigilia dell'otto marzo la premier decida di usare esattamente le stesse parole della sua rivale, della nuova segretaria del Pd, che aveva festeggiato la vittoria a sorpresa su Stefano Bonaccini citando il titolo del libro sul femminismo di Lisa Levenstein, «They didn't see us coming». Del resto funziona proprio così, conferma Meloni, «c'è una buona notizia in quello che può sembrare un pregiudizio, essere quasi sempre sottovalutate è un grande vantaggio».
Giorgia e Elly, altro che quote rosa, il potere sta diventando forse una questione femminile. La Sala delle Donne, inaugurata nel 2016, ospita i ritratti delle 21 deputate dell'Assemblea Costituente, delle prime sindache elette nel 1946 e di quelle che hanno ricoperto le più alte cariche istituzionali della Repubblica. Nilde Iotti, prima presidente della Camera, Marta Cartabia, prima presidente della Corte Costituzionale, Tina Anselmi, prima ministra, Elisabetta Casellati, prima presidente del Senato. E ora che pure la casella tabù di Palazzo Chigi è stata spuntata, non resta che il Quirinale.
«Qualsiasi cosa abbia fatto nella mia vita, quasi tutti hanno scommesso sul mio fallimento. C'entra il fatto che sia una donna? Secondo me probabilmente sì». Pero ora, assicura la presidente del Consiglio, «non ci saranno più dei ruoli preclusi: oggi rimuoviamo uno specchio e lo sostituiamo con una foto, ma ce n'è un altro che possiamo rimuovere». Il Colle, e perché no? «Il momento non è lontano come può sembrare».
Ma la scommessa per Giorgia è un'altra. «La sfida sarà vinta quando avremo il primo amministratore delegato di una società a partecipazione statale donna, e lo dico alla vigilia di una scelta importante per il governo». Nelle prossime settimane Palazzo Chigi sarà infatti impegnato in un giro di nomine negli enti, decisioni finora rimandare perché manca un accordo. Si prevedono frizioni, bracci di ferro, malumori nella maggioranza. Meloni vuole accelerare usando, come raccontano i suoi, il criterio della competenza. «Il vero tetto di cristallo non si rompe arrivandoci, bensì dimostrando che si può fare, non dico meglio, dico molto bene».
Per questo secondo la premier «l'otto marzo non deve essere una giornata di rivendicazioni di ciò che gli altri devono concedere alle donne, ma un momento «di orgoglio e di consapevolezza di quanto possiamo fare, piaccia o no agli altri.
Non ci si può frenare «pensando di non poter andare oltre un determinato punto» e il governo «si impegnerà per offrire gli strumenti per raggiungere gli obbiettivi e perché le donne italiane, costrette ogni giorno ad affrontare mille difficoltà per affermare il proprio talento, si vedano riconosciuti i propri sacrifici, senza rinunce».
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