I download continuano a ritmo lento, mentre le pochissime notifiche quotidiane sono pressoché irrilevanti nel contrasto alla diffusione del Covid-19. L’app Immuni, a poco meno di un anno dal suo lancio, è un fallimento certificato. Sono quasi 10 milioni e mezzo gli utenti che l’hanno inizialmente installata sul proprio smartphone, nell’auspicio di limitare la circolazione del virus. Ma i numeri sono impietosi: in totale gli utenti positivi segnalati sono stati poco meno di 18mila, a fronte di oltre 4 milioni di contagiati in Italia. Risibile, poi, anche il dato delle notifiche inviate: meno di 100mila persone hanno ricevuto il messaggino di esposizione sospetta con una persona già contagiata. Sono lontani i tempi in cui l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, promuoveva lo strumento per limitare i contagi, con tanto di campagne di comunicazione in tv e sui social. Ora si dovrebbe prendere atto di quel che è stato.
Altri 234 mila euro per il call center
Eppure l’intento era nobile: grazie alla tecnologia messa in pratica (a costo zero) dalla società Bending Spoons (che poi ha lasciato la gestione alla Pubblica amministrazione), era possibile sapere se ci fosse stato un contatto “sospetto”, con la garanzia di non subire violazioni della privacy. Sotto l’egida del Ministero della Salute, guidato da Roberto Speranza, e con la supervisione dell’ex commissario all’emergenza, Domenico Arcuri, è però cominciato un cammino alquanto claudicante. Tanto che proprio Arcuri ammise, già a novembre: “L’app non ha sortito risultati in termini di scoperta dei contagiati che ci si poteva aspettare”, auspicando qualche settimana dopo un’improbabile utilità “nella fase della campagna di somministrazione dei vaccini”. Mara Mucci, esperta di digitalizzazione, responsabile PA di Azione, spiega a IlGiornale.it: “Doveva essere lo strumento principale per la strategia del contenimento del Covid-19, è invece stata l’emblema del flop annunciato. In pochi l’hanno scaricata e pochissimi l’hanno usata. Ora non se ne parla quasi parla più, e speriamo non entri in gioco nella partita del Green pass”.
E dire che, negli ultimi mesi c’è stato un ulteriore investimento sull’app: dopo i 34mila usati nel 2020 dal Dipartimento per l'informazione e l’editoria, con lo scopo di stimolare l’uso di Immuni, il Dipartimento per la Trasformazione Digitale ha messo in conto di recente altri 234mila euro per il call center. Anzi, stando alla dicitura esatta per i “servizi di assistenza utenti App Immuni”. Il tutto “mediante adesione alla Convenzione Consip per servizi di contact center in outsourcing”, secondo quanto si legge nel bando di Palazzo Chigi. Un tentativo di salvare la situazione in extremis. Ma, secondo i dati, i buoi sembrano essere scappati: in una settimana ci sono stato solo 10mila nuovi download dell’app. Ancora più deludente è il dato delle notifiche inviate negli ultimi quindici giorni: sono poco più di mille in totale. Quindi con una media di poco superiore alle ottanta al giorno. Un pulviscolo al confronto degli oltre quattordicimila contagiati rilevati soltanto giovedì 29 aprile.
Immuni, le testimonianze del flo
La varie testimonianze, riportate sugli store online, rendono bene l’idea del sentimento collettivo. Scrive Andrea: “Non serve a nulla. In famiglia abbiamo avuto il Covid-19, ho provato ad avvertire sul pulsante ‘comunica se hai il virus’, ma nessuno si è fatto vivo. Nulla è successo”. Parole che trovano le conferme di Gianpiero: “Sono in convivenza con un positivo che ha inserito, da giorni i dati nell’applicazione aggiornata e attiva ma, a me, non segnala alcuna presenza di potenziali persone positive”. Ci sono vicende al limite del grottesco. A raccontare la sua storia è Gabriele: “Dopo aver inserito la positività di mio padre tramite codice cnu (previsto dall’app, ndr), non ho ricevuto alcuna notifica di esposizione. Il giorno successivo, aprendo l’app, ho trovato l’avviso di esposizione. Ma se non avessi aperto l’app, non l’avrei vista”. E l’elenco di lamentele è lungo, in tanti nemmeno si affannano a rilasciare la recensione online. Senza tacere di esperienze dirette, apprese da IlGiornale.it, secondo cui sono state ricevute notifiche a distanza di due settimane dall’esposizione sospetta, cioè quando il periodo di quarantena sarebbe stato inutile.
“Il fallimento - osserva Mucci - si spiega da un lato con motivazioni organizzative. Le Asl dovevano esser pronte a recepire le segnalazioni dei positivi al virus ma non si è pensato a come gestire i flussi, con regioni che, per scelta o disorganizzazione, non hanno attivato le segnalazioni tramite app.
E dall’altro lato ci sono aspetti tecnologici che potevano far prevedere la non adozione di fasce di popolazione, per caratteristiche tecniche dei telefoni, ma anche sociologici legate alle scarse competenze digitali”. “L’innovazione - conclude l’esperta - non è solo tecnologia, è anche gestione dei procedimenti”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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