"Miracolo, Miracolo...!" Perché un nuovo premier piace sempre agli italiani

Da Berlusconi 1994 a Draghi 2018, passando per Prodi, Renzi e Conte: all'inizio sempre applausi

"Miracolo, Miracolo...!" Perché un nuovo premier piace sempre agli italiani

“Lasciate che gli europeisti vengano a me”: così disse Draghi allargando le braccia e accogliendo le pecorelle smarrite dell’italico gregge. Battuta da Pasquino a parte, il consenso per il Presidente del Consiglio è davvero considerevole. Un sondaggio dell’Istituto Piepoli pubblicato da “laRepubblica” il 12 febbraio scorso fotografa sinteticamente la situazione. 52 italiani su 100 sono soddisfatti dell’ingresso a Palazzo Chigi dell’ex presidente della Banca centrale europea; tra questi cittadini 72 su 100 nutrono abbastanza o molta fiducia nel nuovo premier. Il sondaggio ci informa anche che 78 italiani su 100 vorrebbero stringergli la mano, ma purtroppo non si può a causa dei protocolli di sicurezza anti-COVID. Ma tutto questo è frutto di un effetto-Draghi o è una costante della storia italiana? Certamente Draghi ha goduto e sta godendo di una narrazione favorevole, perché viene considerato da ampi settori dell’opinione pubblica il medico che può salvare l’economia italiana in terapia intensiva. Ma non ci sono solo questioni legate all’attualità.

Volgendo lo sguardo indietro, si può notare infatti che la storia si ripete, anche se con numeri e facce diverse. 2006. Il leader dell’Unione ex-Ulivo Romano Prodi ritorna a Palazzo Chigi per la seconda volta dopo le elezioni del 9 e 10 aprile, vinte sul filo di lana. In luglio l’Ipr Marketing registra un consenso per il professore bolognese del 58%, con un tracollo al 42% l’11 dicembre. Frutto anche di una maggioranza eterogenea (da Di Pietro a Rifondazione Comunista) e di una finanziaria 2007 davvero indigesta per i contribuenti italiani. 2008. Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi è tornato al governo con le elezioni del 13e 14 aprile. Secondo una rilevazione dell’Ipr Marketing per “la Repubblica” (quindi un quotidiano d’opposizione) il Cav. parte in maggio dall’apprezzamento di 53 italiani su 100, passando per il 62% di ottobre, per poi arrivare al 73,5% il 24 aprile 2009 (articolo de “La Stampa”), 18 giorni dopo il devastante terremoto che distrusse L’Aquila e parte dei Comuni della provincia. 2011. Il 9 novembre il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nomina l’economista Mario Monti senatore a vita. Quel giorno il famigerato spread, il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi che misura l’affidabilità finanziaria di uno Stato presso gli investitori esteri, tocca il record di 574 punti. Il 12 novembre Berlusconi si dimette, il 16 Monti viene nominato Presidente del Consiglio. Nonostante incomba minacciosa una politica di lacrime e sangue, come da “suggerimento” dell’Unione Europea in una lettera al governo italiano della BCE del 5 agosto, gli italiani sembrano gradire il severo professore in loden a tenere il timone della nave Italia. L’Ipr Marketing il 16 settembre fissa una percentuale notevole di consenso personale per Monti: il 52%. Un consenso sulla fiducia che sarà eroso, complici i colpi d’accetta dell’austerità economica imposta dall’esecutivo, scendendo al 48% del 17 novembre 2012, dopo aver toccato il 62% in gennaio 2012. 2013. Il 28 aprile Enrico Letta entra a Palazzo Chigi sul contraddittorio risultato delle elezioni del 24 e 25 febbraio. L’esponente del Pd è tenuto in piedi da una maggioranza con dentro il suo partito, il PdL e altre formazioni. Tutto per cercare un argine alla straripante affermazione nelle urne del Movimento 5 Stelle, primo partito d’Italia. Letta parte con un 48% che diventa 45% appena un mese dopo. La mancanza di leadership sarà percepita sempre di più dall’opinione pubblica italiana. 2014. Il 22 febbraio cala a Roma il rottamatore. Segretario del Pd, sindaco di Firenze, il “royal baby” (ha appena 39 anni) Matteo Renzi diventa il Presidente del Consiglio più giovane della storia repubblicana. Passo di corsa, spregiudicatezza, un “giglio magico” di fedelissimi toscani, Renzi sembra destinato a diventare un duraturo capo di governo. A marzo secondo Demos&Pi il segretario fiorentino è gradito a 64 italiani su 100. Gradimento che tocca il 74% in giugno, dopo il trionfo delle elezioni europee del 25 maggio (Pd al 40,8%). Fino all’epilogo del referendum per la riforma costituzionale del 4 dicembre 2016 con le dimissioni presentate al Quirinale tre giorni dopo. 2016. Il 12 dicembre arriva il traghettatore del Pd Paolo Gentiloni, uno degli ultimi “principi” della politica romana. Il 22 dicembre secondo le rilevazioni Demos l’ex ministro degli esteri è al 45% di gradimento.

Ma il contesto politico risulta polarizzato in nome del renzismo: o di qua o di là, o pro o contro. 2018. Il 1° giugno la campanella per il Consiglio dei ministri finisce nelle mani dell’allora sconosciuto professore universitario Giuseppe Conte, sintesi scelta dai grillini per battezzare un complicato governo composto da Movimento 5 Stelle e Lega. Cioè dai due partiti risultati tra i vincitori delle urne del 4 marzo. Secondo i dati del rapporto di Openpolis per l’agenzia Agi pubblicati il 5 settembre, il professor Conte, l’avvocato del popolo come si è autodefinito, riscuote la fiducia del 49% dei cittadini. Ma alcuni istituti come Swg attribuiscono al “premier per caso” un 58% di sostegni popolari. 2019. Il 5 settembre con una navigata operazione parlamentare, di Palazzo, Conte giura alla guida di un nuovo governo, sempre imperniato sul Movimento 5 Stelle ma con il Pd e Leu al posto della Lega. Una situazione mai vista nella storia della Repubblica. Il 9 settembre l’istituto Swg registra per Conte un gradimento del 47% dei consensi, dal 51% del 2 settembre. Il 9 gennaio 2020 l’Ipsos sancisce che l’avvocato di Volturara Appula è l’unico politico italiano a superare il 40% del gradimento, attribuendogli un 47%. 2020. Nella notte tra il 20 e il 21 febbraio Mattia Maestri, 38 anni, viene ricoverato con una polmonite interstiziale all’ospedale di Codogno (Lodi): è il primo paziente colpito dal coronavirus in Italia. Un mese dopo, il 20 marzo, Demos&Pi promuove il Presidente del Consiglio Conte a “più amato dagli italiani”: 71% dei consensi. Gli italiani sono terrorizzati dal nemico invisibile, dallo stillicidio quotidiano dei morti, da città e paesi resi deserti dal lockdown imposto dal governo dal 9 marzo. E si aggrappano alla personalità politica che mostra di rassicurarli con frequenti apparizioni televisive e conferenze stampa anche in diretta streaming sulle piattaforme social. Il 29 gennaio 2021 Technè e l’agenzia Dire fotografano in una cifra la fine della lunga luna di miele tra Conte e l’opinione pubblica italiana: 36,8%. Perché appena un Presidente del Consiglio varca il portone di Palazzo Chigi per la prima volta viene “battezzato” da alte o altissime percentuali di consenso da parte dei cittadini? Non è facile rispondere, ma si potrebbe azzardare che intanto c’è un elemento di speranza in cui gli umori popolari vogliono sciogliere la sfiducia accumulata verso il predecessore.

Poi c’è la seduzione del potere, che si esercita con maggiore o minore intensità, a prescindere dalla persona fisica che cominci a esercitarlo in quel momento, quando la famosa campanella passa di mano. Poi si potrebbe addurre una ragione più storica. L’Italia è diventata uno Stato unitario anche in seguito ai plebisciti che tra il 1848 e il 1870 sancirono l’annessione dei vari Stati della penisola al Regno sardo-piemontese prima e al Regno d’Italia poi, dal 1861. Si trattò spesso di consultazioni caratterizzate da varie irregolarità che videro un trionfo di consensi per il sì alle varie annessioni proposte. Come scrisse lo storico lombardo Cesare Cantù in riferimento al plebiscito con cui il 21 ottobre 1860 il Regno delle Due Sicile diventò parte del Regno d’Italia: “il plebiscito giungea fino al ridicolo, poiché oltre a chiamare tutti a votare sopra un soggetto dove la più parte erano incompetenti, senza tampoco accertare l’identità delle persone e fin votando i soldati, si deponevano in urne distinte i Sì e i No, lo che rendeva manifesto il voto”. Oltre a questo contesto storico, il termine plebiscitario fa riferimento all’unanimità di un consenso popolare, vuoi per reale adesione, vuoi per un’artificiosa costruzione del consenso. Una vocazione all’unanimità che come un fiume carsico attraversa il carattere della Nazione. Per venire a tempi più recenti, la legge 81 del 25 marzo 1993 ha introdotto l’elezione diretta del sindaco, del presidente della Provincia e dei componenti dei Consigli comunali e provinciali. Questo sistema di voto ha introdotto una personalizzazione della politica che i partiti storici dell’Assemblea Costituente, figli dell’opposizione al fascismo e all’Uomo della Provvidenza, avevano sempre negato nella teoria e nella pratica. Un’ulteriore personalizzazione e un rapporto diretto tra gli eletti e gli elettori è stato introdotto a livello nazionale con le leggi 276 e 277 del 4 agosto 1993, che istituirono un sistema prevalentemente basato sul maggioritario a turno unico con una correzione proporzionale; in pratica nel singolo collegio elettorale risultava eletto parlamentare il candidato che conseguiva il maggior numero di voti. Questo sistema (chiamato Mattarellum dal relatore delle leggi, l’allora vicepresidente della commissione parlamentare per le riforme istituzionali, il democristiano Sergio Mattarella) regolò le elezioni politiche del 1994, del 1996 e del 2001, cioè tre consultazioni fondamentali per la Seconda Repubblica.

Che viene ricordata per i duelli tra Berlusconi e Prodi (anche nel 2006 quando la legge elettorale tornò proporzionale). Questo ha lasciato la sensazione agli elettori di eleggere direttamente il Presidente del Consiglio (nonostante l’Italia sia rimasta una Repubblica parlamentare e non sia diventata presidenziale) e di mettere sempre di più al centro della vita pubblica la figura del Capo del governo. Il consenso di cui di solito gode un neo inquilino di Palazzo Chigi può essere figlio anche di questa percezione di immediatezza dell’elettore: io ti voto e tu governi. Che permane anche nel caso di esecutivi che si formino separatamente dal voto politico.

Insomma, dal 1994 a oggi, Seconda o Terza Repubblica, non c’è stato Presidente del Consiglio che non sia stato accolto da applausi scroscianti al suo ingresso nella stanza dei bottoni. Un “miracolo-miracolo!”, lo avrebbe definito Lello Arena a Massimo Troisi nell’indimenticabile dialogo iniziale di “Ricomincio da tre”.

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