Morti sospette in corsia. L'infermiera killer condannata a 30 anni

Contestati gli omicidi del marito e della madre. Rinviato a giudizio il medico-amante

Morti sospette in corsia. L'infermiera killer condannata a 30 anni

Adesso che la loro storia d'amore e di delirio è finita sotto processo, l'infermiera e il suo medico si sono divisi. Lei, a quanto pare, lo ama ancora; lui invece si sente fregato e tradito, e nella lettera d'addio le dà del lei. Lui ha scelto il processo ordinario, perché è vuole dimostrarsi innocente. Lei ha scelto di limitare i danni, chiedendo il rito abbreviato: ma non le va benissimo, ieri il giudice le rifila trent'anni di carcere. L'unica consolazione è che almeno ha evitato l'ergastolo.

Lei si chiama Laura Taroni, e faceva l'infermiera all'ospedale di Saronno; lui, Leonardo Cazzaniga, dirigeva il pronto soccorso. Quando li arrestarono, nel dicembre 2016, le intercettazioni raccontarono una storia sconvolgente, anche perché i crimini si erano svolti sotto gli occhi di tutti. Il «protocollo Cazzaniga», così ribattezzato in ospedale, consisteva nel mandare al Creatore con un cocktail di farmaci i pazienti che il dottore considerava meritevoli di una fine rapida. Nel frattempo, Cazzaniga aiutava la sua amante a liberarsi uno dopo l'altro dei parenti. Prima il marito, Massimo Guerra, uomo duro e sessualmente aggressivo; poi la madre, Maria Rita, sospettata dalla Taroni di avere una tresca affettiva col genero. Ad entrambi, vengono prescritti farmaci che un po' alla volta li avvelenano e li stroncano.

Di entrambe le loro vittime i due amanti ebbero la sottigliezza di far cremare i corpi, per evitare guai successivi. Sotterrato e poi riesumato finì invece il suocero della Taroni, Luciano Guerra, anche lui morto nel corso dell'incredibile sequenza: ma alla fine, la Procura in questo caso non ha ritenuto di avere prove in mano che l'uomo sia stato ammazzato, e ieri il giudice assolve l'infermiera.

Per la pesante condanna bastano le altre due morti. Invano, nel corso del processo, Laura Taroni ha cercato di difendersi nell'unico modo verosimile, spiegando che i farmaci prescritti da Cazzaniga al marito servivano solo ad abbassarne la libido e a fiaccarne le pretese ossessive: «guarda che essere violentati dal proprio marito è una cosa terribile», confidò a un'amica; e nell'interrogatorio ha parlato di «notte infernali», di «drammatiche pratiche». Niente da fare: duplice omicidio volontario premeditato.

Cazzaniga, inferocito per essere stato chiamato in causa, le ha scritto da carcere a carcere: «Io la amo ancora profondamente ma considero la relazione che ci univa (apparentemente) irrimediabilmente chiusa».Per lui il 23 aprile inizierà il processo in Corte d'assise, dove più ancora delle morti dei familiari della Taroni pesano sul suo conto i decessi a ripetizione dei pazienti del pronto soccorso. Quando lo arrestarono gli episodi incriminati erano quattro, nel frattempo sono saliti a undici.

Lui si difende parlando di cure palliative, di una sorta di eutanasia. Ma l'aspetto sorprendente è che tutti sapevano. Sull'esistenza del «procotollo Cazzaniga» venne disposta persino una inchiesta interna, che finì con il verdetto: tutto regolare.

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